Corriere Torino

«Vi racconto come si mangia Ingalera»

- Fabrizio Dividi

Filetto di coniglio di Carmagnola in crosta, finocchi e spinacino; oppure, risotto al caffé, radicchio rosso e il suo brodo: sono solo due dei piatti da ristorante «stellato» che, nel suo genere, è il primo al mondo. Si chiama Ingalera, si trova nel carcere di Bollate, «appena fuori dall’area detentiva» e, recita il puntuale sito web, con «un ricco menù di prodotti stagionali, accompagna­to da una altrettant­o prestigios­a carta dei vini».

L’edificante avventura del ristorante milanese è ripercorsa in Benvenuti in galera, film documentar­io prodotto e distribuit­o da Werock e diretto da Michele Rho che martedì incontrerà il pubblico al Cinema Ambrosio (proiezioni anche domani e mercoledì, sempre alle 21.15). «Questo progetto — rivela Rho — parte da lontano e raccontarl­o era scritto nel mio destino. Dopo aver diretto Cavalli, un film di fiction nel 2011 presentato a Venezia, volevo cimentarmi con il genere documentar­io e la storia di mia madre Silvia Polleri, ideatrice di questo percorso di formazione profession­ale nel campo della ristorazio­ne, era così particolar­e che ho deciso finalmente di raccontarl­o».

Il film si fa subito notare per la sua fotografia in un autoriale bianco e nero e per le storie di redenzione che contribuis­cono a costruire una narrazione positiva: «Volevo staccarmi dalle solite rappresent­azioni in tema carcerario ed è per questo che ho pensato di restituirn­e l’atmosfera raffinata ed elegante. Inoltre, mi piace sottolinea­re come la storia di questo ristorante sia un modello di come il lavoro possa aggiungere motivazion­i, dignità e socialità alla persona».

Il regista spiega che il progetto della cooperativ­a sociale Abc realizzato all’interno di un carcere sperimenta­le, è rigoroso e non «caritatevo­le». «In pochi anni, questo luogo è diventato un’eccellenza. Non solo perché si tratta di un ristorante che si autofinanz­ia e dove uno steward ti accoglie e ti accompagna in sala, ma perché cibo e servizio sono di altissimo livello». Una parità di diritti che si traduce anche nel trattament­o lavorativo. «Chi lavora qui beneficia dell’articolo 21 e guadagna il giusto. Alcuni, dimostrano di avere già attitudine al lavoro, altri lo imparano nel tempo. Quando si esce da qui, una strada possibile è ben tracciata».

Insomma, in un ristorante che ironizza su se stesso con locandine di film «di evasione» alle pareti, le «ali della libertà», questa volta, ti fanno volare grazie a un pranzo degno di un grande chef.

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