«Vi racconto come si mangia Ingalera»
Filetto di coniglio di Carmagnola in crosta, finocchi e spinacino; oppure, risotto al caffé, radicchio rosso e il suo brodo: sono solo due dei piatti da ristorante «stellato» che, nel suo genere, è il primo al mondo. Si chiama Ingalera, si trova nel carcere di Bollate, «appena fuori dall’area detentiva» e, recita il puntuale sito web, con «un ricco menù di prodotti stagionali, accompagnato da una altrettanto prestigiosa carta dei vini».
L’edificante avventura del ristorante milanese è ripercorsa in Benvenuti in galera, film documentario prodotto e distribuito da Werock e diretto da Michele Rho che martedì incontrerà il pubblico al Cinema Ambrosio (proiezioni anche domani e mercoledì, sempre alle 21.15). «Questo progetto — rivela Rho — parte da lontano e raccontarlo era scritto nel mio destino. Dopo aver diretto Cavalli, un film di fiction nel 2011 presentato a Venezia, volevo cimentarmi con il genere documentario e la storia di mia madre Silvia Polleri, ideatrice di questo percorso di formazione professionale nel campo della ristorazione, era così particolare che ho deciso finalmente di raccontarlo».
Il film si fa subito notare per la sua fotografia in un autoriale bianco e nero e per le storie di redenzione che contribuiscono a costruire una narrazione positiva: «Volevo staccarmi dalle solite rappresentazioni in tema carcerario ed è per questo che ho pensato di restituirne l’atmosfera raffinata ed elegante. Inoltre, mi piace sottolineare come la storia di questo ristorante sia un modello di come il lavoro possa aggiungere motivazioni, dignità e socialità alla persona».
Il regista spiega che il progetto della cooperativa sociale Abc realizzato all’interno di un carcere sperimentale, è rigoroso e non «caritatevole». «In pochi anni, questo luogo è diventato un’eccellenza. Non solo perché si tratta di un ristorante che si autofinanzia e dove uno steward ti accoglie e ti accompagna in sala, ma perché cibo e servizio sono di altissimo livello». Una parità di diritti che si traduce anche nel trattamento lavorativo. «Chi lavora qui beneficia dell’articolo 21 e guadagna il giusto. Alcuni, dimostrano di avere già attitudine al lavoro, altri lo imparano nel tempo. Quando si esce da qui, una strada possibile è ben tracciata».
Insomma, in un ristorante che ironizza su se stesso con locandine di film «di evasione» alle pareti, le «ali della libertà», questa volta, ti fanno volare grazie a un pranzo degno di un grande chef.