Il Piemonte teme la crisi di Suez A rischio esportazioni per 4 miliardi
In pericolo soprattutto gli scambi commerciali via nave con Cina, Giappone e Paesi arabi
«L’escalation della crisi in Medio Oriente rischia di penalizzare fortemente il made in Piemonte. La nostra regione è la quinta più esposta, con oltre 4 miliardi di euro di merci esportate all’anno via mare attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso. La metà ricade solo su Torino e provincia». Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino, non nasconde le sue preoccupazioni per le ripercussioni del conflitto araboisraeliano.
Le navi che attraversano lo Stretto di Bab el-mandeb infatti, da o verso il Canale di Suez, sono finite nel mirino degli Houthi, un gruppo armato dello Yemen che sta cercando di limitare il massacro nella Striscia di Gaza facendo leva sulle perdite economiche. Una strategia che colpisce anche il Piemonte: «Viene rallentato, se non ridotto, l’approvvigionamento di prodotti essenziali per la trasformazione della nostra manifattura — continua De Santis — inoltre il Qatar ha deciso di sospendere il passaggio delle sue navi cisterna con il gas naturale liquefatto, con il rischio concreto di una nuova impennata dei prezzi dell’energia».
La somma delle crisi internazionali in sostanza, se si aggiunge la situazione Ucraina, aggrava la frenata del commercio internazionale. I cui effetti si aggiungono alla stretta monetaria in corso e alla riattivazione delle regole europee di bilancio, che potrebbero avere conseguenze sulla crescita, riducendo la fiducia e la propensione ad investire delle imprese. «Il rischio è che l’approccio attendista delle aziende — afferma il presidente di Confartigianato — possa degenerare in recessione». Per l’italia si stima che il valore dell’importexport annuale che transita per il Canale di Suez e proveniente da Paesi del Medio Oriente, Asia, Oceania e sudest dell’africa sia pari a 148,1 miliardi di euro, di cui 93,1 miliardi di euro di importazioni e 55 di esportazioni. Il totale rappresenta il 42,7% del commercio italiano via mare, e l’11,9% del mercato estero generale. Più nel dettaglio, si tratta del 15,2% delle importazioni e dell’8,7% delle esportazioni totali. «Il canale di Suez ha un peso rilevante per il nostro interscambio — conclude De Santis — quello che ci preoccupa di più è che il caos forniture possa lasciare un segno sull’inflazione, con la Bce che potrebbe fare marcia indietro sulla promessa di tagliare i tassi di interesse. Un aspetto che avrebbe conseguenze drammatiche per il nostro accesso al credito».
Ad essere in pericolo sono gli scambi commerciali via nave con Cina, India, Arabia Saudita, Giappone, Corea del Sud, Emirati Arabi, Qatar, Iraq e Indonesia. L’italia, ogni giorno, perde circa 95 milioni a causa degli attacchi. Ma gli effetti riguardano tutti gli Stati
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del Vecchio Continente. Per questo l’ue si appresta a varare l’operazione Aspis («scudo» in greco) che vedrà alcune unità navali pattugliare l’imboccatura meridionale del Mar Rosso tra il Golfo di Aden e lo Stretto di Bab el Mandeb per proteggere i mercantili dalla minaccia di missili e droni.
La decisione finale verrà presa soltanto il 19 febbraio. Sarà allora che a Bruxelles si riuniranno i ministri degli Esteri dei 27 e l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell formalizzerà il lancio della missione. Diverse le questioni ancora aperte, a partire da quella del comando, conteso per ragioni soprattutto di prestigio tra Francia, Grecia e (a modo suo) Italia. Sembra certo invece che la missione targata Ue avrà una modalità esclusivamente difensiva, al contrario di quella a guida Usa.