«Nel primo trimestre del 2024 siamo destinati a perdere il 20 per cento del fatturato»
L’allarme lanciato da Claudio Rizzolo, titolare di Vibel Group
«Agennaio abbiamo già subito una prima flessione, e difficilmente la situazione in Medio Oriente si risolleverà presto. Anzi. Di questo passo le previsioni ci fanno dire che siamo destinati a perdere almeno il 20% del fatturato solo nel primo trimestre. Il 2024 doveva essere l’anno della rinascita, invece siamo pronti ad affrontare l’ennesima tempesta perfetta». Claudio Rizzolo, 62 anni, torinese, è il titolare di Vibel Group, azienda con sede a Nichelino dal 1979 e specializzata nel settore della metalmeccanica artigiana. E come diverse imprese piemontesi sta già subendo gli effetti relativi alla crisi nel Canale di Suez.
«Per noi è uno snodo fondamentale — racconta Rizzolo — sia per importare materie prime che nell’export dei nostri prodotti. E se le multinazionali sono in grado di circumnavigare il problema, gli effetti più negativi riguardano le piccole e medie imprese. Noi potremmo rivolgerci ad altri canali, ma andremmo incontro a speculazioni da capogiro. Ad oggi abbiamo già messo in conto aumenti sul costo delle materie prime e del trasporto».
Vibel Group può contare su un fatturato di circa 3 milioni di euro e su 15 dipendenti. Importa ferro, acciaio e alluminio, che utilizza per produrre materiali di carpenteria meccanica, utili a diversi settori industriali, dagli apparecchi per la sanità all’edilizia. «Sembra di rivivere i tempi del Covid, con lockdown, chiusure e restrizioni che rendono difficile il commercio — riprende Rizzolo —. Oggi stiamo ricorrendo alle scorte in magazzino, utili a mitigare le perdite, ma sono destinate a terminare nel breve periodo. Senza beni di importazione saremo costretti a rallentare o fermarci, in base alla gravità.
Impossibili così passare alla fabbricazione e trasportare le nostre eccellenze all’estero. L’azienda è ormai alla terza generazione, non siamo degli sprovveduti, e il fatto di collaborare con diversi settori industriali ci ha sempre permesso di superare qualunque crisi. Tuttavia negli ultimi anni siamo in balia delle onde, come se il destino non dipendesse più da noi. È successo con la pandemia e lo riviviamo oggi».
Ed è proprio questo il problema: la crisi del Canale di Suez intacca un tessuto che è già stato indebolito, per fare un esempio, dalle speculazioni energetiche negli anni passati. «Parliamo di crisi imprevedibili e non governabili — aggiunge — a cui un’azienda non può porre alcun rimedio ma solo contare i feriti. Impossibile così programmare a lungo raggio e tentare di fare qualche investimento. Possiamo solo provare a immaginare le perdite dei prossimi mesi, ma la verità è che la situazione potrebbe precipitare nel giro di 24 ore. Vedremo cosa accadrà, ma di certo non siamo sereni. La resilienza non può durare per sempre». Basti pensare che se prima un container da Shanghai a Genova costava 1.500 dollari, ora si è arrivati a una richiesta di 6 mila. E le navi sono costrette ad allungare il tragitto di 10-15 giorni, passando dal corno d’africa per saltare i porti del Mediterraneo e approdare direttamente a Rotterdam. Il risultato? Prezzi alle stelle e rischio di ulteriori attese e code per l’attracco e lo scarico di merci e materie prime. E così anche nel 2024 si assiste a una partenza in salita.
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Lo scenario
Se le multinazionali aggirano il problema, gli effetti peggiori sono per piccole e medie imprese