Corriere Torino

Da buoni sabaudi tifiamo De Palma e Santi Francesi

Luca Argentero va in scena il 12 e 13 febbraio al Colosseo «È questa la vita che sognavo da bambino?» è un viaggio nelle vicende di Malabrocca, Bonatti e Tomba

- (luc.cast.) Luna De Luca Francesca Angeleri

● «È questa la vita che sognavo da bambino?» è uno spettacolo prodotto da Stefano Francioni Produzioni; scritto da Gianni Corsi, Luca Argentero ed Edoardo Leo, che ne cura anche la regia; musiche di Davide Cavuti

● Luca Argentero (foto di Angelo Redaelli) torna nella sua Torino per raccontare le storie di tre grandi personaggi dalle vite straordina­rie

● Sul palco le vicende di Luisin Malabrocca, Walter Bonatti e Alberto Tomba, tre sportivi italiani che hanno fatto sognare e commuovere tantissimi italiani

● Al Teatro Colosseo lunedì 12 e martedì 13 febbraio, alle ore 21. Biglietti interi da

27 a 44 euro

In sottofondo, gli urletti di un bambino. Noè Roberto, il secondogen­ito avuto, quasi un anno fa, dalla moglie Cristina Marino. Questa è, per Luca Argentero, sempre più la vita che sognava da bambino. Lunedì 12 e martedì 13 febbraio, al Teatro Colosseo, andrà in scena la pièce interpreta­ta dall’attore torinese «È questa la vita che sognavo da bambino?», scritta da lui, da Gianni Corsi e da Edoardo Leo che ne cura la regia. Per parlare di sé (ma senza parlare di sé), Argentero racconta le storie di tre personaggi straordina­ri che hanno inciso profondame­nte nella società e nelle loro discipline: il ciclista inventore della Maglia Nera Luisin Malabrocca, l’alpinista Walter Bonatti e il campione di sci Alberto Tomba.

Uno spettacolo con un titolo così, potrebbe continuare per sempre.

«In effetti ho la sensazione che la mia vita continui a migliorare. Questo spettacolo mi ha portato fortuna».

Come si fa a costruirsi una vita che ci soddisfa?

«Sono consapevol­e della mia fortuna e cerco di essere sempre molto grato, e di lamentarmi il meno possibile. Anche se non è mai rose e fiori per nessuno».

Questa consapevol­ezza, senza nulla togliere alle sue capacità, la fa sentire obbligato a doverlo rimarcare magari di fronte a colleghi che hanno avuto più difficoltà?

«Degli altri non mi interessa, non mi sento obbligato nei confronti di nessuno. Sempliceme­nte, ho un grande rispetto nei confronti del lavoro e so cosa significa farsi il c… e guadagnare pochi euro, perché è successo anche a me. Non posso farmi carico di ciò che non è successo agli altri».

C’è un momento che la emoziona in modo particolar­e sul palcosceni­co?

«Quando leggo una lettera scritta da Bonatti in risposta a un’intervista che gli stavano facendo. In quelle parole c’è tutto il suo malessere relativame­nte alla sua vicenda. Racconta di come siamo pavidi a volte noi italiani nel denunciare le ingiustizi­e, nel farci carico della verità. Ci sono ancora molte cose nascoste in questo Paese. Oggi nasconders­i è più difficile con tutti i telefonini che possono riprendere ma la verità resta complessa. Bonatti aveva 80 anni e non aveva più nessuna paura di dire tutto quello che pensava».

È bello che lei dia la parola anche ad Alberto Tomba, un vero mito dei nostri tempi un po’ caduto nel dimenticat­oio.

«Non sono d’accordo. Era un mito e tale è rimasto. Ha scelto di non diventare un personaggi­o televisivo come molti altri e ha tenuto salda la memoria di ciò che è stato. Piuttosto ha deciso di fare solo ciò che gli interessa. Definirei il suo un esilio volontario che tutti farebbero a gara per potersi permettere».

Anche lei?

«Io ho scritto un libro che si intitola Disdici tutti i miei impegni… Insomma, è un augurio che mi faccio. Penso che ogni età abbia i suoi giusti spazi e che sia auspicabil­e trattenere qualcosa per sé».

Lo spettacolo è scritto da

Queste sono le righe dell’attesa. Perché nessuno ha ancora visto la prima puntata del Festival di Sanremo, fino a questo momento. La prima serata non fa fede, perché all’inizio le canzoni non sono mai quelle che diventeran­no dopo. Anzi, non sono mai belle, ci avete fatto caso? Al primo ascolto è difficile che piacciano. Anche se Mengoni, da subito, aveva fatto capire a chi aveva orecchie per intendere che c’era un solo capitano (quest’anno c’è anche Gigi D’agostino sulla nave, mentre l’anno passato c’erano solo Mara Sattei e Noemi a ricordarlo nella serata delle cover facendo la loro intrigante versione di L’amour tojour) che avrebbe vinto, ed era lui. Ieri sono saliti sul palco dell’ariston gli artisti torinesi ammessi da Amadeus, ovvero Fred De Palma e i Santi Francesi. Qui siamo un po’ «cuore di mamma» e sabaudamen­te speriamo ci facciano fare bella figura. Buon Festival a tutti, quindi, e sempre Viva Sanremo.

«Ho scritto un libro che si intitola Disdici tutti i miei impegni… Èun augurio che mi faccio»

lei, Corsi e Leo. Come è nato?

«Una sera ero fuori con Leo e davanti a una bottiglia di vino gli raccontavo un po’ di queste storie, lui ha ritenuto che meritasser­o uno spettacolo a teatro».

Le piacerebbe fare una regia?

«No, nessuna regia. Ho già troppe responsabi­lità. Sul lavoro ho già fatto tutto quello che potevo fare e non ho più voglia di essere messo sotto esame. C’è chi lo fa benissimo, il regista».

Come Garrone, ad esempio.

«Ecco, il mio sogno profession­ale è proprio quello di lavorare con lui».

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