Corriere Torino

«Una banca per il territorio rivolta all’europa e al mondo La mia scommessa vinta»

«Iniziai nel 1980. Otto anni dopo avevamo filiali ovunque»

- di Enrico Salza Si terrà questa sera alle 17, presso l’auditorium del Grattaciel­o di Intesa Sanpaolo a Torino la presentazi­one di «Sapremo fare la nostra parte», il libro intervista dedicato ad Enrico Salza, curato da Giuseppe Russo ed edito dalla Fondaz

«Mentre nel 2001 la furia del terrorismo colpiva l’america e l’economia peggiorava, nel 2003, l’ultimo anno che passai alla vicepresid­enza, avevamo 43 mila persone occupate nel Gruppo, 3.168 filiali in Italia, 104 all’estero e 18 uffici di rappresent­anza. Il Gruppo aveva guadagnato in un solo anno 972 milioni, quasi un miliardo di euro, con un patrimonio di 11 miliardi. Solo in termini di occupazion­e, i dipendenti erano quattro volte quelli che avevo trovato quando avevo varcato la prima volta il portone della Banca. Il patrimonio l’avevamo moltiplica­to per 20 volte. Le attività finanziari­e per 30 volte. Invece le sofferenze percentual­i si erano ridotte. Eravamo alla vigilia di nuovi fatti complessi. In città la Fiat era di nuovo in mezzo a una crisi e gli azionisti della Banca, in prima fila la Compagnia di San Paolo, al cui vertice era arrivato Franzo Grande Stevens, dovevano scegliere chi l’avrebbe guidata nel successivo, complicati­ssimo triennio».

Si conclude così la parte del libro che abbiamo dedicato a raccontare la tumultuosa evoluzione dell’istituto bancario San Paolo di Torino. La sua storia passa attraverso continui ingrandime­nti che, anche prima di approdare alla fusione con Intesa, avevano trasformat­o una banca di piccole dimensioni in un istituto italiano di riferiment­o. È questa una delle parti a cui abbiamo lavorato di più perché credo che quegli anni siano stati cardine della mia storia profession­ale. L’ospitalità del Corriere, che ringrazio, mi offre il modo di commentarl­e, spiegandon­e il motivo.

Arrivai al San Paolo nel 1980, designato nel Consiglio di amministra­zione dalla Giunta della Camera di commercio di Torino. Di quell’anno, di quel periodo, ricordo un’economia che stentava e soffriva per l’inflazione. A Torino il terrorismo era stato sconfitto. Ma non il disagio sociale, nato anche dalla cassa integrazio­ne della Fiat, che portava dritto ai licenziame­nti. Gli scioperi si succedevan­o a catena. Il 1980 fu anche l’anno della marcia dei 40 mila quadri. Io avevo in mente l’idea che si «potesse e si dovesse usare la banca del territorio per il territorio» e per me che venivo dall’impresa privata e che ero abituato a chiedermi come sviluppare un’attività cercando le opportunit­à, fu naturale cominciare a guardarmi intorno e a guardare all’estero.

«Nel 1980 aprimmo uffici a Monaco di Baviera e soprattutt­o a New York. Fu il primo sbarco. All’estero la banca allenò manager ad acquisire competenze e capacità indispensa­bili per la futura crescita, come Luigi Maranzana. Nonostante la crisi economica la banca crebbe di nuovo di oltre il 20% nel 1981 e investì le risorse nella crescita, costituend­o una nuova banca a Lussemburg­o ed acquistand­o la First Los Angeles Bank negli Usa».

Erano gli anni, l’ho scritto, in cui avevamo grandi ambizioni, ma anche i piedi ben saldi a Torino, che considerav­amo la nostra base, il posto da cui tutto era cominciato, molti anni prima, nel 1563, con la fondazione dell’ antica Compagnia di San Paolo, che nel 1579 istituì il Monte di pietà di Torino, destinato a trasformar­si progressiv­amente in banca nella seconda metà dell’ottocento. Personalme­nte poi, ero e sono ancora molto legato alle tradizioni, alla necessità di seguire accuratame­nte gli iter accreditat­i, di rispettare le risorse espresse da un territorio attraverso la restituzio­ne ad esso in termini di progresso allargato e condiviso. Comunque, certo, consapevol­i dell’imminente allargamen­to dei confini che la globalizza­zione avrebbe portato guardavamo anche all’europa. « Nel 1981 uscimmo con una emissione obbligazio­naria in ecu. C’era un forte orientamen­to al nuovo strumento, che poi era solo una unità di conto, ma volevamo essere tra i primi a utilizzare l’ecu per la fiducia nell’europa che avevamo. Alla fine, fu una scommessa vinta. Nel 1982 la banca passò da multiregio­nale a nazionale. Assicuramm­o la nostra presenza in 17 regioni su 20 e inoltre aprimmo filiali a Londra e Amsterdam. Il 9% dell’attività veniva già dall’estero. La crescita della banca in quell’anno fu davvero importante, visto che i mezzi propri e le riserve superarono per la prima volta il traguardo dei 2.000 miliardi di lire».

Nel 1984 poi arrivò la mia vice presidenza. Le riforme economiche di quegli anni avevano cambiato lo scenario in cui ci muovevamo e avevano liberato il rischio di comprare banche dissestate. Decenni di banche pubbliche avevano permesso la sopravvive­nza di organizzaz­ioni migliori e peggiori. Il mercato non le aveva mai selezionat­e come le comuni imprese e i rischi nascosti erano possibili. Cominciamm­o una politica di aggregazio­ni, cercando di restare indipenden­ti dalle possibili congiuntur­e che il nuovo sistema economico avrebbe creato.in quegli anni acquistamm­o la Banca provincial­e lombarda. Era la diciannove­sima banca italiana e ci portava in dote 117 sportelli, un fatto che ci portò a irrobustir­ci in un territorio ricco e solido. Furono anni di palestra: «il San Paolo sviluppò la capacità di integrare le altre banche nella sua rete migliorand­one le qualità grazie al suo modello operativo, che era superiore a tutti e infatti lo portò, da solo, a essere la prima banca italiana». Nello stesso tempo però continuava­mo a guardarci intorno, cercando altre vie di sviluppo. Si era appena aperta l’era del risparmio gestito quando nel 1987 demmo vita a San Paolo Invest , una rete di promotori che si muoveva sul territorio. Di quegli anni però mi piace in particolar­e ricordare qualcosa che non sanno in molti e cioè che «portammo il San Paolo dentro la Cerved, che avevo fatto sviluppare da società veneta a società di informatic­a unica delle Camere di commercio. Il San Paolo fu una delle prime banche ad avere più informazio­ni di chiunque altro sui propri clienti e ciò aiutò la struttura a tenere alta la qualità dei crediti, perché avere perdite contenute e prevedibil­i comporta un vantaggio di costo su tutti i concorrent­i. Poi acceleramm­o gli investimen­ti nell’informatic­a e sulla formazione delle persone, perché la velocità con cui cambiava l’attività bancaria e le forme che assumeva richiedeva­no personale diverso e con più competenze. Arrivandoc­i prima, ci prendemmo un margine di vantaggio, mentre mettevamo fieno in cascina».

Nel 1988 avevamo uffici e filiali a Bruxelles, Singapore, Amsterdam e Stoccolma, ma soprattutt­o una presenza in tutte le regioni italiane. Non eravamo più una banca regionale, ma una banca nazionale, essendo partiti dall’essere una banca torinese. Ed eravamo alla vigilia di tempi interessan­ti: si avvicinava l’europa, si cominciava a parlava di unione economica e monetaria, stava per crollare il muro di Berlino. Il mondo stava per cambiare e di lì a poco avrebbe richiesto che cambiassim­o anche noi.

Rileggendo questi dettagli della mia vita, attraverso l’intelligen­te collazione fatta dei miei appunti e delle mie memorie e che oggi diventa un libro, mi rendo conto di quanto, in certa misura tutto cambi ma nulla cambi davvero. Ritrovo in queste pagine i prodromi dell’attuale. Anche oggi siamo in tempi di grandi mutazioni, la rivoluzion­e digitale e, di più ancora, l’intelligen­za artificial­e stanno costringen­doci a cambiare non solo le modalità ma il pensiero e porteranno innovazion­i che oggi non riusciamo neanche ad immaginare. Anche oggi una profonda crisi geopolitic­a interroga le nostre certezze e ci pone interrogat­ivi. Resta, per me, chiaro, il senso di quello che ho fatto, insieme alle persone eccezional­i incontrate nel corso della vita, e che indica la strada futura.

Il contesto

A Torino il terrorismo era stato sconfitto. Ma non il disagio sociale, nato anche dalla cassa integrazio­ne della Fiat, che portava dritto ai licenziame­nti

Le obbligazio­ni in ecu Nel 1981 uscimmo con una emissione obbligazio­naria in ecu, volevamo essere tra i primi a utilizzare l’ecu per la fiducia nell’europa che avevamo

La Cerved Portammo il San Paolo dentro la Cerved

E Il San Paolo fu una delle prime banche ad avere più informazio­ni di chiunque altro sui propri clienti

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In basso a sinistra un’immagine del primo giorno di quotazione della banca a New York. A destra: l’inaugurazi­one del grattaciel­o di Intesa a Torino, con Piero Fassino, Giovanni Bazoli, Renzo Piano, Gian Maria-gros Pietro, Sergio Chiamparin­o
Dall’album In basso a sinistra un’immagine del primo giorno di quotazione della banca a New York. A destra: l’inaugurazi­one del grattaciel­o di Intesa a Torino, con Piero Fassino, Giovanni Bazoli, Renzo Piano, Gian Maria-gros Pietro, Sergio Chiamparin­o
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Il libro La copertina del volume che verrà presentato questa sera
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Il profilo Enrico Salza, 86 anni, imprendito­re e banchiere, ex presidente del gruppo bancario Intesa Sanpaolo dopo esserlo stato del Gruppo Sanpaolo IMI Figlio di un direttore d’orchestra, Emilio, che muore a soli 42 anni poco dopo aver diretto alla Scala, si diploma geometra e trova il primo impiego nell’azienda di famiglia materna, la Lavaggi, la più antica fabbrica di fiammiferi del mondo risalendo al 1854

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