«Una banca per il territorio rivolta all’europa e al mondo La mia scommessa vinta»
«Iniziai nel 1980. Otto anni dopo avevamo filiali ovunque»
«Mentre nel 2001 la furia del terrorismo colpiva l’america e l’economia peggiorava, nel 2003, l’ultimo anno che passai alla vicepresidenza, avevamo 43 mila persone occupate nel Gruppo, 3.168 filiali in Italia, 104 all’estero e 18 uffici di rappresentanza. Il Gruppo aveva guadagnato in un solo anno 972 milioni, quasi un miliardo di euro, con un patrimonio di 11 miliardi. Solo in termini di occupazione, i dipendenti erano quattro volte quelli che avevo trovato quando avevo varcato la prima volta il portone della Banca. Il patrimonio l’avevamo moltiplicato per 20 volte. Le attività finanziarie per 30 volte. Invece le sofferenze percentuali si erano ridotte. Eravamo alla vigilia di nuovi fatti complessi. In città la Fiat era di nuovo in mezzo a una crisi e gli azionisti della Banca, in prima fila la Compagnia di San Paolo, al cui vertice era arrivato Franzo Grande Stevens, dovevano scegliere chi l’avrebbe guidata nel successivo, complicatissimo triennio».
Si conclude così la parte del libro che abbiamo dedicato a raccontare la tumultuosa evoluzione dell’istituto bancario San Paolo di Torino. La sua storia passa attraverso continui ingrandimenti che, anche prima di approdare alla fusione con Intesa, avevano trasformato una banca di piccole dimensioni in un istituto italiano di riferimento. È questa una delle parti a cui abbiamo lavorato di più perché credo che quegli anni siano stati cardine della mia storia professionale. L’ospitalità del Corriere, che ringrazio, mi offre il modo di commentarle, spiegandone il motivo.
Arrivai al San Paolo nel 1980, designato nel Consiglio di amministrazione dalla Giunta della Camera di commercio di Torino. Di quell’anno, di quel periodo, ricordo un’economia che stentava e soffriva per l’inflazione. A Torino il terrorismo era stato sconfitto. Ma non il disagio sociale, nato anche dalla cassa integrazione della Fiat, che portava dritto ai licenziamenti. Gli scioperi si succedevano a catena. Il 1980 fu anche l’anno della marcia dei 40 mila quadri. Io avevo in mente l’idea che si «potesse e si dovesse usare la banca del territorio per il territorio» e per me che venivo dall’impresa privata e che ero abituato a chiedermi come sviluppare un’attività cercando le opportunità, fu naturale cominciare a guardarmi intorno e a guardare all’estero.
«Nel 1980 aprimmo uffici a Monaco di Baviera e soprattutto a New York. Fu il primo sbarco. All’estero la banca allenò manager ad acquisire competenze e capacità indispensabili per la futura crescita, come Luigi Maranzana. Nonostante la crisi economica la banca crebbe di nuovo di oltre il 20% nel 1981 e investì le risorse nella crescita, costituendo una nuova banca a Lussemburgo ed acquistando la First Los Angeles Bank negli Usa».
Erano gli anni, l’ho scritto, in cui avevamo grandi ambizioni, ma anche i piedi ben saldi a Torino, che consideravamo la nostra base, il posto da cui tutto era cominciato, molti anni prima, nel 1563, con la fondazione dell’ antica Compagnia di San Paolo, che nel 1579 istituì il Monte di pietà di Torino, destinato a trasformarsi progressivamente in banca nella seconda metà dell’ottocento. Personalmente poi, ero e sono ancora molto legato alle tradizioni, alla necessità di seguire accuratamente gli iter accreditati, di rispettare le risorse espresse da un territorio attraverso la restituzione ad esso in termini di progresso allargato e condiviso. Comunque, certo, consapevoli dell’imminente allargamento dei confini che la globalizzazione avrebbe portato guardavamo anche all’europa. « Nel 1981 uscimmo con una emissione obbligazionaria in ecu. C’era un forte orientamento al nuovo strumento, che poi era solo una unità di conto, ma volevamo essere tra i primi a utilizzare l’ecu per la fiducia nell’europa che avevamo. Alla fine, fu una scommessa vinta. Nel 1982 la banca passò da multiregionale a nazionale. Assicurammo la nostra presenza in 17 regioni su 20 e inoltre aprimmo filiali a Londra e Amsterdam. Il 9% dell’attività veniva già dall’estero. La crescita della banca in quell’anno fu davvero importante, visto che i mezzi propri e le riserve superarono per la prima volta il traguardo dei 2.000 miliardi di lire».
Nel 1984 poi arrivò la mia vice presidenza. Le riforme economiche di quegli anni avevano cambiato lo scenario in cui ci muovevamo e avevano liberato il rischio di comprare banche dissestate. Decenni di banche pubbliche avevano permesso la sopravvivenza di organizzazioni migliori e peggiori. Il mercato non le aveva mai selezionate come le comuni imprese e i rischi nascosti erano possibili. Cominciammo una politica di aggregazioni, cercando di restare indipendenti dalle possibili congiunture che il nuovo sistema economico avrebbe creato.in quegli anni acquistammo la Banca provinciale lombarda. Era la diciannovesima banca italiana e ci portava in dote 117 sportelli, un fatto che ci portò a irrobustirci in un territorio ricco e solido. Furono anni di palestra: «il San Paolo sviluppò la capacità di integrare le altre banche nella sua rete migliorandone le qualità grazie al suo modello operativo, che era superiore a tutti e infatti lo portò, da solo, a essere la prima banca italiana». Nello stesso tempo però continuavamo a guardarci intorno, cercando altre vie di sviluppo. Si era appena aperta l’era del risparmio gestito quando nel 1987 demmo vita a San Paolo Invest , una rete di promotori che si muoveva sul territorio. Di quegli anni però mi piace in particolare ricordare qualcosa che non sanno in molti e cioè che «portammo il San Paolo dentro la Cerved, che avevo fatto sviluppare da società veneta a società di informatica unica delle Camere di commercio. Il San Paolo fu una delle prime banche ad avere più informazioni di chiunque altro sui propri clienti e ciò aiutò la struttura a tenere alta la qualità dei crediti, perché avere perdite contenute e prevedibili comporta un vantaggio di costo su tutti i concorrenti. Poi accelerammo gli investimenti nell’informatica e sulla formazione delle persone, perché la velocità con cui cambiava l’attività bancaria e le forme che assumeva richiedevano personale diverso e con più competenze. Arrivandoci prima, ci prendemmo un margine di vantaggio, mentre mettevamo fieno in cascina».
Nel 1988 avevamo uffici e filiali a Bruxelles, Singapore, Amsterdam e Stoccolma, ma soprattutto una presenza in tutte le regioni italiane. Non eravamo più una banca regionale, ma una banca nazionale, essendo partiti dall’essere una banca torinese. Ed eravamo alla vigilia di tempi interessanti: si avvicinava l’europa, si cominciava a parlava di unione economica e monetaria, stava per crollare il muro di Berlino. Il mondo stava per cambiare e di lì a poco avrebbe richiesto che cambiassimo anche noi.
Rileggendo questi dettagli della mia vita, attraverso l’intelligente collazione fatta dei miei appunti e delle mie memorie e che oggi diventa un libro, mi rendo conto di quanto, in certa misura tutto cambi ma nulla cambi davvero. Ritrovo in queste pagine i prodromi dell’attuale. Anche oggi siamo in tempi di grandi mutazioni, la rivoluzione digitale e, di più ancora, l’intelligenza artificiale stanno costringendoci a cambiare non solo le modalità ma il pensiero e porteranno innovazioni che oggi non riusciamo neanche ad immaginare. Anche oggi una profonda crisi geopolitica interroga le nostre certezze e ci pone interrogativi. Resta, per me, chiaro, il senso di quello che ho fatto, insieme alle persone eccezionali incontrate nel corso della vita, e che indica la strada futura.
Il contesto
A Torino il terrorismo era stato sconfitto. Ma non il disagio sociale, nato anche dalla cassa integrazione della Fiat, che portava dritto ai licenziamenti
Le obbligazioni in ecu Nel 1981 uscimmo con una emissione obbligazionaria in ecu, volevamo essere tra i primi a utilizzare l’ecu per la fiducia nell’europa che avevamo
La Cerved Portammo il San Paolo dentro la Cerved
E Il San Paolo fu una delle prime banche ad avere più informazioni di chiunque altro sui propri clienti