«L’orrore del 7 ottobre, vivo ancora quel trauma»
Il fotoreporter israeliano Ziv Koren e la mostra Cento per Cento Inferno curata da Ermanno Tedeschi alla Camis de Fonseca
Ci sono due soldati israeliani in una cucina. Uno di loro tiene stretta tra le mani la faccia del suo compagno che è disperato. È la locandina di Cento per Cento Inferno, la mostra, curata da Ermanno Tedeschi, con le fotografie di Ziv Koren che apre mercoledì in via Pietro Micca 15 presso l’associazione Camis de Fonseca, dove resterà fino al 21 febbraio. Realizzata con il supporto dell’associazione Italia Israele, l’esposizione ha il patrocinio della Regione e del comitato regionale per i Diritti Umani e Civili. Koren è un fotoreporter israeliano molto conosciuto per i suoi reportage sui conflitti arabo-palestinesi. Ha vinto diversi premi ed è diventato famoso per la sua apparizione nel film ...More Than 1000 Words del regista Solo Avital. Dal 7 ottobre documenta ciò che sta accadendo in Israele.
Per prima cosa vorrei chiederle come sta, e come sta il popolo israeliano in questo momento terribile.
«È una domanda particolare, non ce la fa mai nessuno. Tutti noi israeliani, da quel 7 ottobre, stiamo vivendo in una sorta di post trauma. Negli ultimi 30 anni come fotografo ho visto cose tremende. Sono stato in Turchia dopo il terremoto, sono stato in Ucraina, in tutti i luoghi colpiti dai conflitti degli ultimi decenni ma niente è stato così tremendo come ciò che mi sono trovato di fronte il 7 ottobre».
C’è sempre del pudore a fare certe domande, ma cosa ha visto di ancora più terrificante quel giorno?
«Ciò che ho visto non aveva nulla di naturale. Ad Haiti scattai una foto tremenda ma l’opera di Hamas va oltre qualsiasi immaginazione. In guerra si uccidono bambini, si stuprano donne, si torturano corpi… in questo modo non si era mai visto».
Lei dov’era quel giorno? «Abito a Tel Aviv e quella notte mia figlia di 7 anni si era fermata a dormire da me. Ci siamo svegliati con le sirene e ho capito subito che era accaduto qualcosa. L’ho portata dalla mamma e ho cominciato a muovermi. Erano già caduti migliaia di missili, cercavo di mettermi in contatto con alcuni amici dei corpi speciali ma stavano già tutti combattendo. Sono tornato a casa per infilarmi il giubbotto antiproiettile. A Sderot è capitato che mi trovassi di fronte ai terroristi, con altri ci siamo rifugiati sotto una macchina che è stata letteralmente distrutta dai proiettili».
Avete la sensazione come popolo di non essere compresi a sufficienza dall’opinione pubblica?
«È complesso. Israele, unico stato democratico in questa zona, non ha mai permesso che nessun fotografo entrasse e scattasse foto alle vittime. Io sono entrato tre giorni dopo, quando le vittime erano coperte. I palestinesi non spostano i corpi fino a quando non arrivano i fotografi».
Intende con questo che utilizzano immagini cruente a loro vantaggio?
«Hamas sfrutta cittadini innocenti come scudo e come pretesto per la propaganda. È frustrante perché non riusciamo a trasmette la verità mentre loro fanno circolare delle bugie».
Mi faccia un esempio. «L’ospedale di Al Shifa. Quel missile lo avevano sparato loro, non noi. E avevano sbagliato. Invece di dire la verità hanno dichiarato immediatamente che c’erano stati 500 morti e che era stato colpito l’edificio».
Per cosa piangeva il militare della foto?
«Quel giorno era l’ultimo della festa religiosa del Sukkot.
La foto
Il soldato porta una kippah, è un religioso Quando vede il pane per la festa, scoppia in lacrime
Quella casa era preparata per le celebrazioni. Si nota che il soldato porta una kippah, è un religioso. Quando ha visto il pane pronto per la festa è scoppiato in lacrime».
Documentare è la sua missione?
«Sento che tutti gli anni di carriera erano un preparativo a questo. Non torneremo più a come eravamo prima e voglio documentare al mondo cosa sta accadendo. Dopo i fatti dei kibbutz, sto seguendo le storie degli ostaggi tornati e delle loro famiglie e come rientrano nella società; mi occupo dei soldati feriti e dei ragazzi sopravvissuti al rave. Ed entro a Gaza, domattina sarò là con i soldati».