Ritratto di un logico e della sua città (Torino)
Non è solo un romanzo di formazione, quello del logico matematico Gabriele Lolli, 81 anni — Ritratto di un logico da giovane — ma un viaggio nella Torino di inizio anni Sessanta, dal liceo D’azegio all’università, tra le aule che c’erano e che non ci sono più, i compagni poi diventati colleghi, la Fiat e le lotte operaie. E poi, la scelta che sarà il crocevia del lavoro e della vita: «Nel mio diario alla data 11 settembre 1961 avevo scritto: “Ho deciso di iscrivermi a Matematica”». Dopo una sorta di anno sabbatico e qualche esame a Filosofia.
Decisione mica dovuta al fascino «di una disciplina elitaria», ma un richiamo quasi esistenziale: «Di razionale — scrive Lolli — c’era solo il fatto che in questo modo lasciavo indietro in modo definitivo le fedi o illusioni che fino ad allora mi avevano accompagnato (cattolicesimo, protestantesimo e marxismo).
Laureatosi in Matematica a Torino, appunto, alla fine del 1965, Lolli si dedica agli studi di logica sotto la guida di Ettore Casari e Ludovico Geymonat, poi di Abraham Robinson, a Yale. Per poi tornare sotto la Mole, a insegnare al Politecnico, e quindi nelle università di Salerno, Genova e Torino, fino al 2008, quando diventa professore di Filosofia della matematica alla scuola Normale Superiore di Pisa. Insomma, un gigante, della divulgazione anche: socio dell’accademia delle Scienze di Torino dal 1986, è autore di numerosi libri, tradotti anche all’estero, tra cui: Qed. Fenomenologia della dimostrazione; Matematica come narrazione; I teoremi di incompletezza.
Stavolta, complice la reclusione da pandemia, ha scelto l’originale diario di una giovinezza avvincente, stipato di ricordi ed episodi, di cronaca e storia. Nella Torino sospesa tra il boom industriale e la scintilla del ‘68, un ragazzo cerca la sua identità: in cosa credere (tra il cattolicesimo impegnato, il protestantesimo calvinista, il marxismo scientifico); cosa studiare, tra filosofia, economia e matematica; chi seguire, tra maestri che s’impegnano a rinnovare la cultura italiana. È così che s’incrociano figure del calibro di Ludovico Geymonat, Raniero Panzieri, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Goffredo Fofi, Norberto Bobbio, Paolo Sylos Labini, don Milani. E ancora, preti operai, i primi informatici, i nuovi manager della Fiat. «Di matematica non sapevo niente, perché non ci avevano proprio insegnato niente», ricorda degli anni del liceo classico. Dunque coraggio, c’è una speranza per tutti.