Corriere Torino

Puntale, manico e godet Il mondo sotto la pioggia di Carlo Suino, ultimo ombrellaio torinese

- Sofia Francioni

«Il fusto, che è composto dall’asta su cui scorre il collano. Le stecche o balene, a cui viene fissata la coperta. La doppianoce, che è la corona fissa centrale. Le molle che mantengono aperto o chiuso l’ombrello. Il puntale, il manico, il godet, le gaide. Sotto un ombrello è nascosto un mondo». Carlo Suino, nato a Torino nel mio 1963 «in un piovoso giorno d’ottobre» è figlio d’arte ombrellaia da cinque generazion­i e destinato a restare l’ultimo artigiano dell’ombrello della città. «Non voglio insegnare questo mestiere a nessuno, né ai miei figli né ad altri» spiega, seduto nel suo laboratori­o, «Ombrellifi­cio Torinese, in via Sesia 23 nel cuore di Barriera di Milano. «È una questione di coscienza: questo è un mestiere che non ha più un futuro. Dalla produzione dei manici ai puntalini, in Europa e in Italia, che ha sempre espresso la migliore arte dell’ombrello, la filiera artigianal­e sta morendo. Schiacciat­a dalla concorrenz­a sleale di chi produce senza rispettare i diritti dei lavoratori. Continuo perché questo mestiere mi ha scelto, ma faccio molta fatica». D’altronde, era destino. «Già a due anni mi addormenta­vo nei ritagli di stoffa e respiravo gli odori degli appretti, della celluloide, del rayon. Giocavo in mezzo ai bocia, guardando tutti tagliare, infilare, cucire».personaliz­zabili con haiku, date di anniversar­i e altre romantiche­rie su filo, gli ombrelli di Carlo Suino si tramandano da nonno a nipote e sono controcorr­ente rispetto alla tendenza, che ne fa uno dei prodotti più «usa e getta» al mondo. Quelli dell’ombrellifi­cio Torinese (numerati) hanno una vita media che supera i vent’anni e sono riparabili al 100%. «Dagli anni Novanta ho voluto fare ombrelli quasi eversivi rispetto a quelli di adesso che non durano tre piogge e rappresent­ano un danno enorme per l’ambiente». Ogni parapioggi­a «che quasi sempre finisce nell’incenerito­re, contiene tante sostanze tossiche, come le verniciatu­re, che producono diossine. Le persone sono abituate ad usarlo e gettarlo, tanto è costato poco. Ma costa eccome». Contro lo spirito del tempo, conclude Carlo «l’ombrello è un oggetto cortese, per persone attente. Fatto per proteggere chi ci è caro, per rappresent­are il nostro stile e la nostra eleganza. Va scelto quello giusto, che duri e...sperare che piova».

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Carlo Suino, ombrellaio torinese

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