La lotta antimolestie, si schierano i docenti
Nessun blocco delle lezioni, ma la mobilitazione studentesca porta la discussione nelle aule e i professori analizzano il tema «Si tratta anche di migliorare la trasparenza delle procedure»
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Anche se alla fine non c’è stato il blocco delle lezioni e l’assemblea «antimolestie» non ha radunato una folla oceanica di studenti, la mobilitazione di Cambiare Rotta fa emergere il difficile stato d’animo dei professori dell’università di Torino. È evidente l’imbarazzo all’interno della comunità accademica. Da sempre in prima fila su queste tematiche, l’ateneo torinese deve fare i conti con la sospensione di due importanti docenti accusati di comportamenti irrispettosi nei confronti di alcune dottorande e studentesse.
Nell’atrio di Palazzo Nuovo, il primo ad arrivare è Gianluca Cuniberti. Il direttore del dipartimento di Studi Storici si è seduto accanto ai giovani e ha spiegato: «Sono rimasto molto colpito da quanto accaduto. Io sono membro del Senato Accademico, sono un maschio e molto spesso ho posto la questione. Penso però che sia arrivato il momento che i professori e le professoresse si confrontino con cosa state dicendo, perché ponete un tema importante in termini di denuncia e di necessità di trasformazione. È arrivato il tempo di mettersi in ascolto». Anche Bruno Maida, professore di Storia Contemporanea, ha seguito l’assemblea indetta da Cambiare Rotta. «Se un docente viene a sapere di un episodio grave, di un reato, è suo dovere denunciarlo, mi sembra sia normale nella civiltà e nell’etica delle persone, quindi se ci sono episodi che non sono stati denunciati è sbagliato». Secondo il docente, però «non si tratta solo di capire chi è innocente e chi è colpevole ma cosa si può fare dal punto di vista della trasparenza delle procedure e della costruzione di un sistema che sia a garanzia di tutti quelli che studiano nell’ateneo».
La protesta degli studenti ha movimentato il primo gior
Federica Mazzocchi Credo che l’ateneo sia compatto nella censura delle molestie, parliamo di casi eccezionali
Gianluca Cuniberti Sono un maschio e molto spesso ho posto la questione È tempo di mettersi in ascolto
no di corsi, terminata la sessione di esame. «Vittime mai», è stato l’urlo della trentina di studenti che hanno attraversato i corridoi e fatto tappa in ogni aula per chiedere lo stop delle lezioni. Cambiare Rotta, formazione di estrema sinistra, attacca l’ateneo:«non bisogna parlare di mele marce, ma di un sistema che legittima un modello di università che spinge all’individualismo e alla concorrenza. E che non difende gli studenti». Sono arrabbiati. «Pensiamo che la sospensione di un solo mese del professore di Filosofia non serva a nulla. Ci stiamo organizzando per mobilitarci il 22 febbraio, quando si riunirà il consiglio del suo dipartimento», annunciano al microfono.
Nessun docente decide di fermare le lezioni, come richiesto da chi contesta. Anche se poi, a parole, non si trova chi è contrario ad aprire un dibattito sul tema delle molestie nell’università. Federica Pugno, docente di Geografia linguistica, accogliendo gli studenti in aula, spiega: «Sono a favore alla protesta, anche se non partecipo allo sciopero non essendoci una copertura sindacale. Ne abbiamo parlato anche in classe. Condivido che la soluzione migliore sia quella di denunciare».
Pierangelo Gentile, professore di Storia dell’ottocento e del Novecento, aggiunge: «Fanno bene a protestare, perché di questo tema non se ne parla mai abbastanza». Più o meno quello che ripete la collega Silvia Cavicchioli, anche lei del dipartimento di Studi Storici.
Proviene da quello di Filosofia e Scienze dell’educazione, il dipartimento di uno dei due professori sospesi, Federica Mazzocchi. «Credo che l’ateneo sia compatto nella censura delle molestie — spiega la docente di Teatro Sociale —. È giusto far sentire la propria voce, anche se parliamo di casi eccezionali. In Università ci sono un sacco di gruppi, come il comitato Cug e il centro studi delle donne e di genere Cirsde, che ogni giorno si impegnano per contrastare la violenza e le discriminazioni».
Cambiare Rotta
«Il sistema legittima un modello che spinge all’individualismo e alla concorrenza»