«Quell’amore straripante tra Antonio e Cleopatra»
Valter Malosti torna in scena al Carignano con l’opera di Shakespeare Tra Oriente, eros, mito e «versi in cui ancora oggi ci riconosciamo»
Straripanti. Per Valter Malosti sono i due protagonisti di «Antonio e Cleopatra», il nuovo allestimento dell’opera scespiriana che il regista-attore torinese porta in scena da oggi a domenica al Carignano, nella triplice veste di curatore (con Nadia Fusini), regista e interprete (con Anna Della Rosa).
«Già nei primi versi un ambasciatore afferma di Antonio che “la demenza del nostro generale oltrepassa la misura”», dice Malosti. «E quando Cleopatra vuol sapere “un confine nel quale essere amata”, lui risponde che dovrà scoprire un nuovo cielo e una nuova terra. Nell’opera c’è il contrasto tra una Roma che rappresenta l’ordine e un Egitto — meno faraoni, più Oriente — che è il regno dell’irrazionale. Shakespeare aveva in mente sia “Le vite parallele” di Plutarco che il mito di Iside e Osiride: straripanti sono i due amanti, è il fiume Nilo che dal fango genera la vita, è l’eros».
Quest’ultimo inevitabilmente a braccetto con Thanatos, la morte. L’allestimento si apre con due catafalchi funebri.
«Da sempre i poeti celebrano il sogno degli amanti di venir seppelliti insieme, per amarsi anche dopo la morte. Che — non lasciamoci ingannare — non è un cercar la morte ma un ballare sulle tombe, vivendo a fondo il proprio destino. “Se non avessi incontrato Cleopatra, avresti perso un capolavoro”, dice l’amico Enobarbo ad Antonio. E non avrebbe mai conosciuto se stesso».
La storia si ammanta di miti, come se fossero strati: l’origine nel I° secolo a.c. con figure gigantesche (c’è anche il futuro imperatore Augusto), la consacrazione secentesca di Shakespeare, il kolossal hollywoodiano del 1963 in cui Cleopatra si trasmutò in Elizabeth Taylor. Quanto porterà di tutto ciò al Carignano?
«Io faccio quello che scrive Shakespeare. Sono fedele ai versi originali, anche se a volte non sembra. Poi ci siamo molto informati, sia su testi recenti come il bellissimo Cleopatra di Aldo Schiavone, sia andando a studiare la storia e scoprendo l’attrazione che già un altro famoso amante della regina egizia, prima di Antonio, provava verso l’oriente: Giulio Cesare. Antonio è un personaggio fragile, quasi un buffone tragico, la vera icona è Cleopatra. E il film del 1963 non fa altro che confermare il legame tra diva e dea: le dive sono esemplificazioni di qualcosa di mitico. La nostra Cleopatra, per la fedeltà ai versi, è una Garbo che ride. Noi italiani siamo sempre spaventati dalla commistione tra comico e tragico, ma per Shakespeare era naturale».
Stiamo parlando di miti millenari. Quanto stride il contrasto nel riportarli in scena nell’epoca dell’effimero, del culto dell’istante, in cui sembra che tutto ciò che consumiamo sia condannato a essere subito dimenticato?
«Nel teatro ci sono entrambe le cose. È l’arte dell’effimero per eccellenza, che si svolge ogni sera in un qui e ora, per poi svanire. Però è anche quella che ci permette di mantenere un rapporto con la tradizione, di tenerla viva. È incredibile come Shakespeare riesca a mostrarci un’umanità che ancora ci assomiglia. Mi è bastato un mese di repliche per notarlo: il pubblico si riconosce nella condizione umana che vede sul palco».
Aggirando anche la barriera dei versi?
La ricorrenza
«Si festeggia San Valentino con un folle amore dell’antichità, accettandolo o meno»
❠ Antonio è un personaggio fragile, quasi un buffone tragico La vera icona è Cleopatra La nostra è una Garbo che ride
«Sì. Forse i primi dieci minuti sono stranianti, ma poi si entra in sintonia con il canone poetico. D’altronde sono versi che non posso essere semplificati, tutto ciò che devi fare è caricarli d’energia. È la faticaccia che facciamo sul palco: niente melina, diamo tutto per renderli accessibili senza semplificarli».
Domani gli straripanti Antonio e Cleopatra si ameranno nel giorno di San Valentino.
«Sarà interessante festeggiare la ricorrenza con un folle amore dell’antichità, accettandolo o meno. Dall’inizio al monumento finale di parole che Cleopatra dedica ad Antonio, è un inno all’amore, di cui è presentata ogni variabile».