L’università delle molestie, uno scontro di sensibilità in una frattura generazionale
Cresce l’età del personale, come studentesse e stranieri
Con l’aumento delle matricole è cresciuto il numero delle possibili prede. Da questo bisogna partire per riflettere su una delle pagine più brutte dell’università di Torino, costretta a sospendere due professori accusati di aver molestato alcune studentesse. Negli ultimi otto anni, l’ateneo ha moltiplicato del 20% i suoi iscritti arrivando a superare quota 81 mila. Crescita spinta dalle donne, nell’anno accademico 2022/23 erano il 61% dei 13.308 immatricolati, e dagli stranieri, passati dal 3.964 del 2016 ai 5.151 dell’anno passato. «Le segnalazioni di molestie riguardano alcune figure più esposte — ha dichiarato l’avvocata civilista Elena Bigotti, l’ex consigliera di fiducia di Unito —. Le donne e le studentesse. Gli stranieri, in questo caso abbiamo avuto vittime anche tra universitari uomini. E chi accede con una carriera alias, cioè chi si registra con un’identità di genere diversa da quella di nascita, che patisce non necessariamente delle molestie sessuali, ma discriminazioni, morali e fisiche».
Le vittime delle molestie segnalate all’università sono «tutti quei soggetti considerati “diversi” — ha spiegato Bigotti in un recente congresso —. Ma diverso da che cosa? Dal contesto dominante». Quello dell’ateneo sembra più distante da quello che si incontra all’esterno, nella società. E la ragione è riconducibile all’età. Nel periodo 2016-2020 è aumentato il personale tra 51 e 60 anni (51% del totale). Insomma, Unito ha sempre più i capelli grigi mentre le aule si riempiono di ragazzi e ragazze «diversi dal contesto». Frattura generazionale che si trascina dietro una di tipo culturale, difficile da vedere da fuori ma molto tangibile all’interno dei dipartimenti. Dove a fare a pugni con certe dinamiche sono soprattutto i più giovani, dottorandi e assegnisti. Spesso parliamo di donne costrette a convivere con superiori uomini e anziagotti ni, visto che un quinto dei professori raggiungerà i 70 anni entro il 2026. Persone entrate in università con i primi computer e senza l’ombra di un telefonino che oggi devono fare i conti con un panorama nettamente diverso. Con necessità nuove. Come, per esempio, l’uso di una lingua «inclusiva». Un docente di Cultura, Politica e Società ha rischiato la sospensione per aver insultato una studentessa chiamandola «disabile». Una cosa bruttissima, ancora di più se si pensa che la battaglia odierna nei dipartimenti è l’uso dell’asterisco e della schwa. Altra sensibilità.
Soffermarsi sulla sfida del linguaggio serve a capire quello che è capitato. Non è passata inosservata un’altra riflessione dell’avvocata Binella suo ultimo intervengo pubblico. «Si segnalano casi di alcuni ambiti di Unito fortemente conservatori e maschilisti», ha spiegato la consigliera di fiducia facendo riferimento a tre dipartimenti. A quello di Filosofia, dove è scoppiato il caso del professore Federico Vercellone sospeso per un mese. A Medicina, dove insegna Giancarlo Di Vella, agli arresti (anche) per molestie. E Giurisprudenza, dove pochi anni fa era finito nei guai un docente che chiedeva foto hard in cambio di buoni voti. Bisogna aggiungere che proprio in questi dipartimenti si registrano anche corsi, seminari e iniziative studentesche che cercano di sgretolare questa cappa di «maschilismo». Marco Pelissero negli ultimi anni ha lanciato seminari sul Diritto declinato alla comunità Lgbt o alla sessualità. «Dove abbiamo parlato anche di violenza, stalking e malattie trasmissibili — racconta il professore di Giurisprudenza —. In classe, la maggioranza dei partecipanti sono studentesse. Mi hanno chiesto di aprire queste lezioni a un numero molto più alto di iscritti». Quest’anno, è partito anche il corso «La violenza maschile contro le donne». Dove? Sempre a Giurisprudenza.
Dal report della consigliera di fiducia a chiedere aiuto sono in maggioranza docenti e personale. Dagli studenti arrivano poche segnalazioni per vari motivi, tra cui la paura di ripercussioni o la presenza di altri servizi incontrati fuori dall’ateneo (che ha aperto l’anno scorso un centro anti violenza). All’università di Torino sono giunte nell’ultimo anno cento segnalazioni di mobbing e discriminazioni. Il 13% è legato a motivi sessuali. «3 o 4 rubricabili come violenze», ha detto la consigliera di fiducia prima di lanciare l’allarme sulle molestie online: sempre più spesso nelle chat per scambiare gli appunti spuntano fotomontaggi, insulti, bodyshaming e tutto il peggio possibile.
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Le vittime Donne, chi ha la carriera alias, stranieri Insomma, quelli diversi dal contesto dominante ❠
Diritto e sessualità A seguire il seminario sono soprattutto donne Chiedono di aprirlo a più studenti possibili