Buccirosso «vedovo allegro» ma non troppo
Quando si era in pandemia, era difficile capire a che punto dell’esistenza si fosse. Non della propria, si intenda (anche) ma soprattutto dell’umanità. Dicevamo: saremo migliori. E non ci si credeva fino in fondo neppure allora ma, su una cosa almeno, eravamo sicuri: cambieremo. Purtroppo parrebbe in peggio, però.
Pochi, ancora, hanno avuto l’ardire di parlarne, scriverci, metabolizzare una clausura da fantascienza. Carlo Buccirosso, uno dei nostri più grandi attori, ci ha scritto un’opera teatrale, che interpreta e pure dirige: Il Vedovo
Allegro, da stasera fino a domenica al Teatro Alfieri. È una meravigliosa storia che affonda nella migliore narrazione napoletana, con tante figure e storie. Cosimo Cannavacciuolo è un vedovo ipocondriaco affetto da ansie e paure, inquilino del terzo piano di un antico palazzone situato nel centro di Napoli. Rimasto vedovo a causa del Covid, si ritrova a combattere la solitudine e gli stenti dovuti al fallimento della propria attività di antiquariato che lo ha costretto a riempirsi casa dei resti del negozio e a dover lottare contro l’ombra incombente della banca concessionaria del mutuo.
«La mia intenzione era raccontare il post Covid — sottolinea — ma quando lo scrivevo non potevo immaginare quanto, ancora adesso, fosse attuale. Qui ci sono le diffidenze, la schizofrenia, le manie e i disagi che abbiamo affrontato tutti. La casa del protagonista sembra un museo archeologico, la storia parte dalla disperazione umana».
A salvare Cosimo dalla monotonia c’è Salvatore, bizzarro custode del palazzo, con i suoi due figli Ninuccio e Angelina, votata al matrimonio e alla pulizia del suo appartamento. A Virginia, giovane trasformista di cinema, ha affittato una stanza della casa per far fronte alle difficoltà economiche. È lei che gli porta un po’ di spensieratezza.
Ma la sua vera angoscia sono i coniugi Tomacelli, vicini di casa, depositari di un drammatico segreto che da mesi contribuisce a rendere ancora più complessa la sua quotidiana e strenua lotta per la sopravvivenza.
Buccirosso conosce la solitudine poiché vive solo (senza però essere ipocondriaco), la ama anche, forse per questo motivo non si tratta solo di un mero dramma: «Questa è una fiaba con una rinascita finale, forse la conclusione migliore che mi sia mai venuto in mente di scrivere». Resta solo da scoprire se, l’inquilino del terzo piano, riuscirà a venire fuori dal baratro in cui è piombato da tre anni…
❠
Porto in scena le manie e i disagi che abbiamo affrontato tutti durante il Covid. La storia parte dalla disperazione umana