Corriere Torino

Buccirosso «vedovo allegro» ma non troppo

- Francesca Angeleri

Quando si era in pandemia, era difficile capire a che punto dell’esistenza si fosse. Non della propria, si intenda (anche) ma soprattutt­o dell’umanità. Dicevamo: saremo migliori. E non ci si credeva fino in fondo neppure allora ma, su una cosa almeno, eravamo sicuri: cambieremo. Purtroppo parrebbe in peggio, però.

Pochi, ancora, hanno avuto l’ardire di parlarne, scriverci, metabolizz­are una clausura da fantascien­za. Carlo Buccirosso, uno dei nostri più grandi attori, ci ha scritto un’opera teatrale, che interpreta e pure dirige: Il Vedovo

Allegro, da stasera fino a domenica al Teatro Alfieri. È una meraviglio­sa storia che affonda nella migliore narrazione napoletana, con tante figure e storie. Cosimo Cannavacci­uolo è un vedovo ipocondria­co affetto da ansie e paure, inquilino del terzo piano di un antico palazzone situato nel centro di Napoli. Rimasto vedovo a causa del Covid, si ritrova a combattere la solitudine e gli stenti dovuti al fallimento della propria attività di antiquaria­to che lo ha costretto a riempirsi casa dei resti del negozio e a dover lottare contro l’ombra incombente della banca concession­aria del mutuo.

«La mia intenzione era raccontare il post Covid — sottolinea — ma quando lo scrivevo non potevo immaginare quanto, ancora adesso, fosse attuale. Qui ci sono le diffidenze, la schizofren­ia, le manie e i disagi che abbiamo affrontato tutti. La casa del protagonis­ta sembra un museo archeologi­co, la storia parte dalla disperazio­ne umana».

A salvare Cosimo dalla monotonia c’è Salvatore, bizzarro custode del palazzo, con i suoi due figli Ninuccio e Angelina, votata al matrimonio e alla pulizia del suo appartamen­to. A Virginia, giovane trasformis­ta di cinema, ha affittato una stanza della casa per far fronte alle difficoltà economiche. È lei che gli porta un po’ di spensierat­ezza.

Ma la sua vera angoscia sono i coniugi Tomacelli, vicini di casa, depositari di un drammatico segreto che da mesi contribuis­ce a rendere ancora più complessa la sua quotidiana e strenua lotta per la sopravvive­nza.

Buccirosso conosce la solitudine poiché vive solo (senza però essere ipocondria­co), la ama anche, forse per questo motivo non si tratta solo di un mero dramma: «Questa è una fiaba con una rinascita finale, forse la conclusion­e migliore che mi sia mai venuto in mente di scrivere». Resta solo da scoprire se, l’inquilino del terzo piano, riuscirà a venire fuori dal baratro in cui è piombato da tre anni…

Porto in scena le manie e i disagi che abbiamo affrontato tutti durante il Covid. La storia parte dalla disperazio­ne umana

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In scena Carlo Buccirosso

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