Il messaggio di Repole: mai più soli
Dalle Officine degli impegnati alla dignità dei politici: cattolici in campo
L’incontro dell’arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole, con una nutrita rappresentanza di politici cattolici – di sabato 17 presso il teatro Juvarra di Torino – è stato già molto ben descritta, in particolare su questo quotidiano, nei giorni precedenti. Condividendo quanto riportato dagli organi di informazione, e ripensando ai tanti incontri su questo tema, svoltisi anche nel recente passato, vorrei cogliere l’occasione per il «di più» che è emerso nel suddetto incontro.
Chi ha letto l’intervista al sociologo/sondaggista Nando Pagnoncelli (pubblicata su L’avvenire di domenica 11 febbraio) avrà preso atto di una realtà, nella quale i «cittadini cattolici» appaiono nelle loro scelte sostanzialmente identici a tutti gli altri. Dice Pagnoncelli: «disillusi, né più e ne meno degli altri, con la tendenza a non farsi guidare dalla dottrina sociale nelle loro scelte».
Per rimediare a ciò auspica «un vero e proprio compito nuovo, prioritario per la Chiesa: assegnare un valore alla partecipazione» (in tutti i suoi aspetti, fino a quello più impegnativo, ma anche più rilevante dell’impegno politico).
Alla situazione richiamata da Pagnoncelli, durante i lavori sinodali, monsignor Repole e i suoi collaboratori, stanno provando a dare una risposte intelligente, coraggiosa, coerente, profetica e anche veramente concreta! Si è partiti da una autocritica di grande onestà intellettuale. Ovvero che il cattolico che negli ultimissimi decenni si è impegnato in politica, si è giustamente sentito abbandonato, se non addirittura emarginato, dalla propria comunità ecclesiale, la quale nella maggior parte dei casi ha mostrato di considerare l’impegno in politica una distrazione da cose molto più importanti e, sovente, anche un «disturbo» per la «quiete ecclesiale».
In linea di principio la Chiesa cattolica non ha mai avvallato tali comportamenti «escludenti», anzi è stata sempre fedele al motto di
Papa Paolo VI che definiva la politica come «la più alta forma di carità». Gli atti e le azioni che oggi sta mettendo in campo la Chiesa Torinese, stanno proprio andando nella direzione di rendere vera e vissuta la definizione di Papa Paolo VI . Ecco allora l’importantissimo incontro al San Giuseppe del 16 gennaio con il presidente della Regione e con il sindaco di Torino, tante altre iniziative e prese di posizione chiare e forti, fino all’assemblea di sabato, nel corso della quale sono stati presentati alcuni «strumenti» utilissimi, anzi indispensabili per rilanciare un impegno e un cammino. Partendo dal prezioso lavoro delle P.O.P. (Piccole officine politiche), volte ad approfondire concetti e sovente dimenticati, di una politica «cristianamente ispirata», fino alla ripartenza di scuole di Politica rinnovate e fortemente potenziate, giungendo all’annuncio di una novità assoluta: la creazione della Officina degli Impegnati. Ovvero di un luogo —il primo in Italia per quanto mi consta! — destinato ad essere l’ambito privilegiato per l’incontro, il confronto, l’elaborazione, la ricerca di un discernimento comunitario, aperto a tutte le persone impegnate nel campo della «azione politica» volta alla costruzione del Bene Comune. Il tutto — ed è qui che si tocca la generosità e lo spirito profetico di chi guida la nostra Diocesi — sotto l’egida complessiva dell’area “Carità e Azione Sociale” egregiamente guidata dal dottor Alessandro Svaluto Ferro.
Una «Missione», centrale e vitale per produrre contenuti di «bene» per l’intera società, perché ispirata da valori veri, profondi, impegnativi, e assolutamente contro corrente, come quelli emersi nel bellissimo dialogo/ commento offertoci da monsignor Repole. Sicuramente contro corrente è affermare che «una società che rivendica solo diritti e tralascia i doveri è una società malata» e che «il politico ha anche il compito — tanto impopolare quanto necessario — di richiamare i cittadini all’importanza di assumersi i propri doveri».
Per poter fare questo chi ricopre ruoli pubblici dovrebbe ritrovare la consapevolezza di appartenere alla «Classe dirigente» e non alla «Classe Inseguente», cioè quella che corre dietro ai sondaggi, alle mode temporanee, alle proposte demagogiche e populiste, al consenso immediato. Se il politico deve recuperare questa dignità è altrettanto indispensabile che come cristiani smettiamo di sentirci “di meno”, subalterni culturalmente e/o “ideologicamente” alla cultura dominante e non da quella cristiana. Cultura che invece in molte situazioni risulta la più adeguata a dare una risposta alle ansie e alle domande della società moderna.
Su altri temi l’arcivescovo è entrato in maniera puntuale e convincente (per esempio il tema del potere, che a causa del peccato originale, non può essere esercitato sanamente senza l’aiuto di una comunità e di una “ascesi”). Così come campagne per la salvaguardia del pianeta, la pace, i diritti umani eccetera non saranno mai pienamente efficaci e credibili se non partono da una «conversione intima», e non da un’ideologia o dal desiderio di seguire una moda. Dunque tante questioni da affrontare e un grande lavoro da fare per rendere almeno un po’ migliore il nostro pianeta e l’umanità che lo abita. Lavoro così prezioso e necessario e che tutte le istituzioni dovrebbero sostenere, anche sulla base del «principio di sussidiarietà». Infatti la Fondazione Crt, su indicazione del suo presidente Fabrizio Palenzona — e in pieno accordo con gli altri organi dell’istituzione — ha deciso di dare il massimo sostegno a questa serie di iniziative originate dalla Diocesi di Torino. Naturalmente una simile impresa comporta grande responsabilità e altrettanto grandi timori, ma leniti da una promessa che non è più una semplice speranza: da oggi chi si dedicherà al bene di tutti, e non solo proprio o di pochi sarà meno solo!