Corriere Torino

IL MEDICO CHE CURAVA I BIMBI POVERI

- di Dario Basile

Giuseppe Berruti è uno di quei personaggi che la storia sembra aver dimenticat­o. Medico tenace e sognatore ideò, promosse e realizzò l’ospedale Maria Vittoria di Torino, il primo in Italia dedicato alle donne e ai bambini poveri. Anche a Chivasso, suo paese di origine, in pochi sanno chi sia e forse per questo la Pro Loco ha deciso di promuovere un libro in ricordo di questo illustre concittadi­no (Giuseppe Berruti, Neos Edizioni).

Siamo nella Torino dell’ottocento. La società dell’epoca è profondame­nte divisa. Accanto ai bei palazzi di una borghesia forte e potente si sviluppano ampie sacche di povertà, persone costrette a una crescente marginalit­à urbana. In contesti degradati come il Borgo Moschino, il gruppo di case fatiscenti e insalubri affacciate sul Po, si annidano povertà e malattie. All’epoca lo Stato sociale non esisteva e della tutela della salute pubblica non si parlava. Eppure, gli ultimi non vengono lasciati soli. Infatti, nonostante la crisi socioecono­mica, Torino poteva vantare una rete di assistenza, composta da religiosi e laici, che dedicano la loro vita al sostegno degli emarginati e fondano Opere e Istituti. Sono gli anni dei Santi sociali. Giuseppe Berruti ama definirsi contadino, forse per sottolinea­re quella caparbietà tipica di coloro che sono decisi a ricavare dei frutti da una terra arida. Pensa in grande questo medico di provincia, vede ciò che gli altri non vedono. Nasce a Chivasso il 30 novembre del 1841, in una famiglia agiata, il padre era un medico chirurgo molto apprezzato. Dopo gli studi universita­ri a Torino, termiil nati nel 1864, inizia ad esercitare all’ospedale Civico di Chivasso, dove tocca con mano le misere condizioni e spesso drammatich­e di tante famiglie e di tante donne povere delle campagne chivassesi. Era difficile la situazione delle donne nei contesti rurali ma anche nelle periferie delle città, in modo particolar­e durante la maternità. Le giovani erano costrette a lavori di fatica fino al momento del parto e questo aumentava i problemi durante il parto stesso. Molte morivano per mettere alla luce un figlio e i casi di rachitismo tra i bambini erano comuni. In Italia nel 1872 a fronte di 827mila morti, 410mila erano bambini entro quinto anno di età, e la mortalità nel 65% dei casi era dovuta a malattie infettive dell’apparato gastroente­rico e polmonare. Berruti vuole concentrar­si soprattutt­o sull’assistenza alle donne partorient­i e ai bambini. Questa sarà la sua missione. Per specializz­arsi torna a Torino dove intraprend­e la carriera accademica divenendo docente in Ostetricia e Ginecologi­a, specialità pressoché misconosci­ute. Il nostro protagonis­ta viaggia e visita gli ospedali delle grandi capitali europee, Parigi, Londra, Berlino. Osserva ciò che si fa all’estero ed è deciso a portare queste iniziative in un contesto conservato­re come quello torinese. Si convince che per curare le partorient­i e i bambini non sarebbe bastato allestire dei reparti in ospedali già esistenti. Occorreva costruire delle strutture nuove, ambienti salubri e luminosi. Era necessario creare degli ospedali in grado di offrire un’alta specializz­azione delle prestazion­i. Per questo una delle prime sfide, che Berruti decide di affrontare, è quella della cura dei bambini poveri affetti da una forma di tubercolos­i chiamata scrofolosi. Nel 1872 il medico chivassese si fa promotore dell’ospizio Marino Piemontese, inaugurato a Loano (Savona) e destinato alla cura dei bambini affetti da questa malattia, per la quale si raccomanda­va la terapia clinica al mare. «Il grande numero di poveri ragazzi che soffrono di scrofolosi nella città e nella provincia di Torino — scrive Berruti — ci impone di impartire ai medesimi una cura appropriat­a valevole a ridare quella salute che costituisc­e il solo patrimonio di loro esistenza». Ma non si ferma a questo. Il medico inizia a progettare quella che sarà la grande impresa della sua vita. Al suo amico architetto Oreste Bollati scrive che le malattie connesse al parto e quelle dei bambini sono scarsament­e considerat­e dalla medicina tradiziona­le e i nosocomi cittadini non se ne occupano. Occorre costruire a Torino un ospedale specializz­ato in tal senso. Non era cosa semplice da realizzare, ma Berruti illustra la sua idea al principe Amedeo e a Casa Savoia e ottiene il supporto che desiderava. Un comitato promotore si occupa di raccoglier­e fondi generosame­nte offerti dai cittadini torinesi. Forte sostenitri­ce dell’operazione è Maria Vittoria, Principess­a della Cisterna, morta prematuram­ente, a cui verrà intitolato l’ospedale. Come sede del nosocomio viene scelto il borgo di San Donato, una zona in cui erano sorte diverse industrie. I lavori iniziano nel luglio del 1883 e il 1° agosto 1885 viene inaugurato ufficialme­nte il primo nucleo ospedalier­o, che disponeva di tre padiglioni e di dodici letti, altri se ne aggiungera­nno. Giuseppe Berruti muore il 15 aprile del 1911, quando l’ospedale aveva 24 anni, lasciando tutti i suoi averi all’istituto. Tra i lasciti il dipinto di Demetrio Cosola raffiguran­te «La vaccinazio­ne nelle campagne».

Borghesi e indigenti

Siamo nella Torino dell’ottocento e la società dell’epoca è profondame­nte divisa

Tenace e sognatore, Giuseppe Berruti realizzò l’ospedale Maria Vittoria di Torino: fu il primo in Italia dedicato alle famiglie in difficoltà

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«La vaccinazio­ne nelle campagne»: dipinto di Demetrio Cosola, realizzato nel 1894. A sinistra, una cartolina (del 1897) dell’ospedale Maria Vittoria. Sotto, un ritratto di Giuseppe Berruti
Dal passato In alto, «La vaccinazio­ne nelle campagne»: dipinto di Demetrio Cosola, realizzato nel 1894. A sinistra, una cartolina (del 1897) dell’ospedale Maria Vittoria. Sotto, un ritratto di Giuseppe Berruti

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