«Il sesso e il porno sono tabù Ma la violenza si impara subito»
Mario Pirrello interpreta il caratterista Franco Caracciolo in Supersex «Sarò il migliore amico di Rocco, che sul set è Alessandro Borghi»
«Ipionieri sono tutti soli: è il prezzo che paghiamo per essere liberi». È una delle frasi di Supersex, serie Netflix ispirata alla biografia di Rocco Siffredi in uscita il 6 marzo, con cui Franco Caracciolo, interpretato dal torinese Mario Pirrello, si rivolge all’amico Rocco. «Quella battuta — spiega — segna un ideale passaggio di consegne a quel giovane e promettente attore che sarebbe diventato Rocco Siffredi».
Attore e caratterista versatile, ma chi era davvero Franco Caracciolo?
«Come Siffredi, anche lui ha dovuto affrontare un percorso personale complesso e problematico. Nella sua filmografia spiccano gli esordi ne I mostri di Risi e le sue svariate partecipazioni in film di Fellini, così come nella saga di Pierino e in Io Caligola di Brass. Ma è nella difficoltà e nel dolore di farsi accettare nella sua omosessualità da parte soprattutto della sua famiglia che risiede la sua prova più difficile. Se non ricordo male, suo padre il Principe Francesco Caracciolo, lo mandò da un professore per “curarlo” con iniezioni di testosterone di scimmia. Anni dopo avrebbe commentato: “Grazie al dottor Pende, sono diventato una magnifica donna”».
Qual era la natura dell’amicizia tra Rocco e Franco?
«Siffredi lo ha definito uno dei suoi più grandi amici, probabilmente perché dopo un iniziale rifiuto, data la sua omosessualità, si era reso conto che lo stava giudicando in maniera analoga a chi giudicava lui. Purtroppo si frequentarono poco perché nel 1993 Franco morì di Aids. Rocco gli era talmente affezionato che il nome d’arte scelto per la moglie diventerà proprio Rosa Caracciolo».
Come ha preparato la sua interpretazione?
«Ho cercato di sviluppare le sue caratteristiche principali a partire dalla sceneggiatura, così stimolante per l’immaginazione emotiva degli interpreti che in poche battute mi sono sentito a mio agio nel suo mondo interiore. Ovviamente avevo già un immaginario relativo a Franco cui non ho mai associato il concetto di “volgarità”. Mi è sempre sembrata una creatura luminosa, mai in ombra, e questo gli permetteva di essere sincero nella vita come nell’amicizia».
E sul set?
«Sono stato diretto da Matteo Rovere e Francesca Mazzoleni con molto rispetto per il lavoro di creazione dell’attore e cura per la costruzione delle scene e ho lavorato in modo giocoso e intimo con Alessandro Borghi. Il mondo degli anni 80 e 90 in cui sono stato immerso era colorato ed eccessivo e allo stesso tempo prepotentemente vivo».
Non sarà arrivata l’ora di riconoscere un valore sociale alla pornografia?
«Possiamo anche esserne indignati ma perché scandalizzarsi di una rappresentazione se spesso non ci indigniamo più nemmeno per la realtà?».
Intende rappresentazione artistica o del reale?
«Con tutte quelle battaglie che ci hanno insegnato a scuola siamo stati formati all’idea che per risolvere un conflitto è necessaria la violenza. La ricerca del porno, invece, è legata a una necessità di informazione che nessuno ti dà e ognuno la cerca dove può. Mio padre era appassionato di film polizieschi e nella mia infanzia avrò visto morire centinaia di persone, perché il tabù dell’uccisione ❠ non esiste. C’è però quello del mostrare il piacere; purtroppo ritengo che questo sia un passo evolutivo ancora lontano dall’essere compiuto».
Supersex e Occhiali neri lo hanno portato alla Berlinale, Adagio invece a Venezia. Sta diventando attore da grandi festival?
«Non esageriamo. Fino a ora ci sono passato solo sul grande schermo grazie a registi come Argento e Sollima senza calpestare il red carpet. Però chissà, magari porto fortuna ai film che interpreto e prima o poi riuscirò ad andarci».
Franco fu mandato da un dottore Testosterone di scimmia la «cura» individuata
In tivù vediamo morire centinaia di persone: il tabù dell’uccisione non esiste, ma c’è quello del mostrare il piacere