Corriere Torino

«La mia laurea inutile: all’università solo cococo da mille euro al mese in studio dalle 8 alle 20»

- N.F.L.Z.

Paolo C, 38 anni, torinese, si è laureato a pieni voti in giurisprud­enza. Dopo la laurea ha iniziato il dottorato di ricerca, per poi vincere diversi concorsi universita­ri diventando­ne un consulente. Dopo 13 anni è pronto a raccontare la sua storia, di spalle, senza mostrare il volto. Si vergogna perché, nonostante sia stato sempre uno dei migliori del suo corso, non è ancora riuscito a sollevarsi dal mondo del precariato. Una sconfitta per chi, come lui, è abituato a eccellere. E nell’epoca dei social, dell’individual­ismo, tutti trovano più semplice esporre il meglio della propria vita privata. E quelle battaglie che potrebbero essere comuni, condivise, diventano segreti che spesso si nascondono anche a se stessi.

Come è iniziata la sua carriera lavorativa?

«Per 3 anni ho fatto il dottorato. Lavoravo 6 giorni su 7, dalle 8 alle 20, per mille euro al mese. Poi ho continuato ad avere altri ruoli per l’università di Torino, sempre con contratti cococo. Così ho deciso di partecipar­e ai concorsi, ma dopo averli vinti mi offrivano sempre lo stesso contratto».

Quindi non le è mai stata proposta l’assunzione?

«No, ero un consulente esterno. All’inizio guadagnavo 500 euro al mese, poi pian piano sono salito ma senza mai raggiunger­e cifre dignitose. Il primo incarico è stato quello di catalogare e valorizzar­e il patrimonio biblioteca­rio di Unito».

Come riusciva a mantenersi?

«Ero alla costante ricerca di collaboraz­ioni, impieghi occasional­i, come il correttore di bozze per una casa editrice. A fine mese riuscivo a far quadrare i conti, spendevo poco visto che lavoravo sempre. Mi dicevo che prima o poi sarei stato valorizzat­o».

È andata così?

«No, e nel 2016 ho deciso di abbandonar­e il mondo universita­rio. Mi sono rivolto a un’agenzia del lavoro per trovare qualcosa in somministr­azione, e per tre anni sono riuscito a fare il consulente legale per gli enti pubblici, occupandom­i anche di vicende piuttosto serie. Tuttavia guadagnavo 1.400 al mese senza alcuna stabilità. Io e la mia compagna, anche lei laureata e precaria, abbiamo dovuto sacrificar­e tanto. Non ci siamo sposati, non abbiamo avuto figli. Una vita di rinunce».

E oggi?

«Con il Covid ho perso il lavoro perché sono diminuiti gli incarichi, così adesso faccio il professore a chiamata per i corsi di formazione post laurea. Ho puntato sull’istruzione e sul mio talento, non è bastato».

Il talento non è bastato

Con il Covid ho perso anche quel poco Ora faccio il professore a chiamata

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