Paolini e Laquidara in Boomers «La tecnologia corre veloce, siamo ovviamente affannati»
Boomers, lo spettacolo scritto e diretto da Marco Paolini — che lo vede in scena con la cantante Patrizia Laquidara e i musicisti Luca Chiari, Stefano Dallaporta, Lorenzo Manfredini — è una ballata teatral cybernetica, un album di racconti dove la memoria collettiva di una generazione viene trasformata con scenari da videogioco in una realtà virtuale «vietata ai minori di 48 anni non accompagnati». Nicola è l’alter ego/avatar di Paolini che, tornato giovane, si ritrova nel famigerato bar della Jole a rievocare e rivivere avventure, primi amori, faide politiche e un caleidoscopio di 50 anni della storia d’italia mischiati alla rinfusa da un algoritmo sperimentale. Oggi alle 17 al Teatro Alessandrino di Alessandria.
Marco Paolini, com’è tornare giovani?
«A teatro può accadere, purché lo si faccia con autoironia. Non serve utilizzare un linguaggio giovanile per parlare con i giovani, quello che hanno provato a fare i leader politici quando hanno iniziato a giocare con i social, direi che non è quella la strada».
Che relazione ha con questa modernità eccessiva?
«Non credo che sia eccessiva, credo che l’accelerazione inchiodi ognuno di noi a uno sforzo per cui il punto di partenza è fondamentale. È come in una staffetta: ogni generazione nasce raccogliendo un testimone in un punto in cui quel testimone gli viene passato in velocità; siccome il progresso tecnologico è più rapido della velocità dei corridori, l’affanno arriva insieme al testimone ed è più facile per chi parte che per chi deve consegnarlo ed è sfiatato».
Patrizia Laquidara, come si approccia ai Boomers?
«È la prima volta che mi capita di fare un tour così intenso. Non appartengo alla generazione dei boomer, arrivo da quella successiva, ma cerco di guardare a quel tempo con grande rispetto e curiosità, non con nostalgia che è un sentimento che porta a fare dei passi indietro. Io sono positiva e ho grande fiducia nei giovani».
Che ruolo ha la musica nella pièce?
PL: «È parte della narrazione, è centrale. Per questo spettacolo ho pensato a canzoni semplici, quasi popolari, che potessero raggiungere lo spettatore. Io ho composto le musiche mentre le parole le ho scritte insieme a Marco Paolini. L’impianto popolare di queste canzoni può farle sembrare quasi delle filastrocche che tornano all’interno dello spettacolo più volte con un vestito diverso con cui lo spettatore prende confidenza».
Boomers è un termine che ci parla di distanze generazionali, di boom economici e di crisi. Di padri e figli. Lei come lo intende?
MP: «Boomers è un termine scorciatoia perché oltre a identificare la generazione dei baby boomer viene utilizzato anche per simboleggiare un conflitto generazionale. E questo conflitto è una brutta semplificazione. Io credo che ciascuno debba prendersi le proprie responsabilità, che sono sempre individuali. Non si può mettere alla sbarra una generazione e immaginare che la risposta sia quella del processo di Norimberga, nessuno ha ubbidito a degli ordini, esistono delle regole di senso comune, esiste un maledetto conformismo che fa sì che ci si adegui a un trend generale, ma questo non esime ciascuno a utilizzare il cervello per giudicare le cose. Io sono generazionalmente un boomer, ma non mi assumo responsabilità collettive, solo le mie. I boomer non sono tutti uguali, i giovani non sono automaticamente la soluzione del problema».