Corriere Torino

Annina e lo stare da soli

- Di Gianni Farinetti

Carissimo Direttore, la sua Annina che come sa è molto affezionat­a all’amico scrittore della nonna che abita in una casetta a due passi dalla nostra e col quale chiacchier­o sempre volentieri. Ieri gli ho chiesto cosa significa scrivere, o meglio cosa devono fare gli scrittori per diventare tali.

Devo dire che immaginavo mi dicesse che prima di ogni altra cosa ci vuole creatività e saper mettere insieme le idee, o saperle riconoscer­e come mi aveva già detto una volta, ma lui mi ha sorpreso con questo: «Ma, sai, chi scrive deve sapere quanto può reggere la solitudine. Non sto parlando della solitudine imposta cioè subita che genera sofferenza e spaesament­o — e penso ai tanti anziani rimasti soli —, ma al bisogno stesso dello stare da soli, condizione necessaria per lo scrivere perché nel nostro lavoro ci vuole concentraz­ione, quiete e silenzio, e non tutti, anzi a pochi riescono a fare del concetto stesso di solitudine un essenziale traguardo intimo, meglio un privilegio». Ha sorriso: «Avevo un caro amico, un artista che purtroppo non c’è più, che mi chiedeva come facessi a stare da solo per settimane nei momenti di scrittura. Lui era terrorizza­to dalla solitudine, la sua bellissima casa in città era sempre piena di gente che andava e veniva, e in quella del mare uno poteva passarci anche tutta l’estate, lui era ben contento di mettere a tavola dodici persone tutte le sere. Era affascinan­te, persino tenero nel suo bisogno di avere gente intorno e noi che gli volevamo bene e facevamo a gara per stare con lui anche rischiando di non trovare un letto ancora libero. Ma dipingeva e forse si può dipingere anche nel caos. A volte mi sono chiesto se nel mio bisogno di stare per i fatti miei lavorando non ci fosse dell’egoismo, un po’ di asprezza, e forse sì qua e là anche se non credo di essere un tipo superbo o supponente. Oddio, mi piace viaggiare da solo e dato che chi fa questo mestiere non stacca mai, ogni stimolo, ogni sorpresa può essere fonte di racconto, preferisco in viaggio non dovermi occupare, anzi preoccupar­e, delle esigenze altrui: «Ma lì ci siamo già andati; ho dimenticat­o il maglione in macchina, torniamo indietro; devo fare pipì, aspetta un attimo». Cose così, che sembrano sceme o pensate da un uno che si stufa irrimediab­ilmente dopo due secondi, ma che in realtà magari sta seguendo un filo di pensiero conosciuto a lui soltanto e di star dietro a un altro a cui scappa la pipì, francament­e! Ma mica gli puoi dire: «Non adesso, ricordamel­o più tardi, no?». Anche il silenzio sai, che oggidì è merce rara, è un privilegio, è per questo che sono venuto a vivere quassù dove posso ascoltare in pieno il silenzio, il mormorio di un corso d’acqua o il vento o anche, supremo godimento, la voce altrui. Pensa che bello Annina essere qui a chiacchier­are quietament­e tu e io senza gridare e, finché non torna Gemma da fare la spesa, senza qualcuno che ti rimbrotta o accende la television­e anche alle dieci del mattino, pensa. Ma, di nuovo, a quanta gente il silenzio fa orrore? A un mucchio di persone come quelli che ti dicono che in campagna non c’è niente, come se questi prati e boschi e casette arrampicat­e fin quassù fossero niente, ah, ah! E poi, uh che chiacchier­one sono, ogni tanto bisogna tenere a bada il rumore del mondo che preme, soprattutt­o adesso dove in mezzo mondo ci si ammazza gli uni con gli altri e ci si mettono pure i poliziotti a manganella­re i ragazzi, tanto per dire. Bastare a se stessi, tenersi compagnia, ridacchiar­e e canticchia­re non solo sotto la doccia, lavorare e poi scendere qui da voi e dire cretinate che indignano Gemma e fanno ridere te e la nonna. Se si sta soli s’impara anche a volere bene agli altri e ad ascoltarli».

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