Eva Robin’s mai banale: «Detesto l’anonimato»
Di lei si parla dall’inizio alla fine. È l’oggetto del desiderio. È l’ossessione. È quella che fa perdere la testa. Eppure, in scena, ci starà al massimo una trentina di minuti. Una mezz’ora che è più che sufficiente, a Eva Robin’s, per farsi notare. Da domani fino a domenica 3 marzo, al Teatro Gobetti, debutta Le serve di Jean Genet, per la regia di Veronica Cruciani. Il drammaturgo francese scrisse questo capolavoro nel 1947 ispirandosi a un fatto di cronaca reale avvenuto nel 1933 a Le Mans. Le protagoniste sono due cameriere che allo stesso tempo amano e odiano la loro Madame, interpretata da Robin’s.
«Ci ho messo poco del mio in questo personaggio perché è esattamente quello che aveva scritto Genet. Madame incarna un certo tipo di aristocrazia un po’ snob che mi ricorda tanto una famosissima signora accanto alla quale mi sedetti in aereo diversi anni fa. “Non capisco il pregiudizio di certa gente” mi disse, “ti ho invitata anche a Natale”. Mi fece molto ridere. Certi personaggi sono quasi soavi».
La drammaturgia — sostenuta da una scenografia altrettanto forte — è feroce: Solange e Claire, nella quotidianità, si alternano tra fantasia e realtà, tra il gioco del delirio e il delirio vero. A turno, le due cameriere recitano la parte di
Madame e dell’altra «serva». Dall’adorazione al servilismo fino alla violenza estrema, vogliono essere lei. La loro rivolta non è un gesto sociale o un’azione rivoluzionaria, è un rituale. È un gioco al massacro che non giunge mai al suo apice ma che, altrettanto duramente, disegna la frustrazione nonostante l’uccisione del soggetto amato/odiato/ invidiato non potrà essere portata compimento. Ecco quindi la coazione a ripetere di in un gioco agito all’ossessione.
Epica è, invece, la leggiadria di Eva che resta sempre divertente, e divertita. In scena ma anche fuori: «Sono sempre tranquilla, nulla mi preoccupa. È la mia levità. Io sono così: crudezza, soavità, pensieri peccaminosi e tanta leggerezza».
Una bella fortuna, un dono del destino. «La leggerezza sta nello spirito. Che ti obbliga, al mattino, a guardarti nello specchio e a vederti non più fresca come prima e a rimediare col trucco. O quando ti chiama un amico che non vedevi da tempo e ti costringi a depilarti la tibia così da poter indossare una gonna». Il teatro è per lei l’occasione di potersi rappresentare in tanti ruoli diversi e indossare vesti, non solo esterne, stupende: «Non sono mai banale, neppure al bar a fare colazione. Non sopporto di essere anonima».