Parla Vacchino, il padrone di casa del Festival
Sanremo è l’italia. Il Festival lo è. Ogni anno lo diventa di più. Sanremo canta perché prima di tutto, ma ci ha messo qualche anno a imparare a farlo, ascolta. Ascolta le tendenze, le canzoni «nascoste» nel web, ascolta i ragazzi. E, invece di giudicarli e deriderli e denigrarli, bullizzarli, li prende e li porta sul palcoscenico dell’ariston.
Sanremo è uno spazio ormai (l’ormai è di dovere) dove i giovani influenzano i vecchi. Praticamente una mission impossible per il Bel Paese. Oggi alle 18.30 alle Gallerie d’italia, in collaborazione con il Circolo dei lettori, si presenta il libro «Ariston. La scatola magica di Sanremo». Siamo ancora nella scia di un febbraio musicale e della bella mostra fotografica, curata da Aldo Grasso, Non ha l’età. Il Festival di Sanremo in bianco e nero 1951-1976.
Lo scrive Walter Vacchino che dell’ariston è il proprietario (con la sorella Carla) insieme alla penna di Luca Ammirati che è scrittore nonché, da alcuni anni, responsabile della mitica e temuta sala stampa del Festival. Il libro è edito da Salani per la collana Le Stanze.
Vacchino dal 1982 è Cavaliere della Repubblica. «Non si possono scrivere certe cose, però, magari, i nomi che mi immagino nel post Amadeus posso provare a farli».
L’unica cosa certa, secondo lui, è il progetto: «Non si può che lavorare come è accaduto in questi anni, ovvero a lungo termine, coinvolgendo la parte artistica che al Festival ha avuto e avrà sempre grande libertà di espressione e, ovviamente, gli sponsor», grazie ai quali, anno dopo anno, Sanremo è sempre più un brand.
Se non fosse lo stesso uomo che aveva sei anni quando il padre Aristide posò il primo mattone, se non fosse che sotto i suoi occhi (e le sue orecchie) sono passati proprio tutti gli artisti possibili e immaginabili, e tutte le canzoni degli ultimi 70 anni e oltre, gli si potrebbero anche fare delle domande tipo: qual è la sua canzone preferita? E il Festival meglio riuscito? Ma non si può. Eppure, qualche risposta, per nulla scontata, Vacchino nel taschino ce l’ha: «La mia canzone preferita in assoluto è A te di Jovanotti e non è del Festival. Ma basta ascoltarla per capire i momenti felici che la trovavano sempre sul cruscotto della mia macchina».
E, il Festival più potente è proprio quello del Covid: «La dea bendata ci ha fatto male ma, siccome siamo stati coraggiosi, ci ha premiato con milioni di persone e i Maneskin che poi ci hanno trainati all’eurofestival, hanno fatto grande Torino, e ci portano nel mondo».