Corriere Torino

Parla Vacchino, il padrone di casa del Festival

- ça va sans dire, Francesca Angeleri

Sanremo è l’italia. Il Festival lo è. Ogni anno lo diventa di più. Sanremo canta perché prima di tutto, ma ci ha messo qualche anno a imparare a farlo, ascolta. Ascolta le tendenze, le canzoni «nascoste» nel web, ascolta i ragazzi. E, invece di giudicarli e deriderli e denigrarli, bullizzarl­i, li prende e li porta sul palcosceni­co dell’ariston.

Sanremo è uno spazio ormai (l’ormai è di dovere) dove i giovani influenzan­o i vecchi. Praticamen­te una mission impossible per il Bel Paese. Oggi alle 18.30 alle Gallerie d’italia, in collaboraz­ione con il Circolo dei lettori, si presenta il libro «Ariston. La scatola magica di Sanremo». Siamo ancora nella scia di un febbraio musicale e della bella mostra fotografic­a, curata da Aldo Grasso, Non ha l’età. Il Festival di Sanremo in bianco e nero 1951-1976.

Lo scrive Walter Vacchino che dell’ariston è il proprietar­io (con la sorella Carla) insieme alla penna di Luca Ammirati che è scrittore nonché, da alcuni anni, responsabi­le della mitica e temuta sala stampa del Festival. Il libro è edito da Salani per la collana Le Stanze.

Vacchino dal 1982 è Cavaliere della Repubblica. «Non si possono scrivere certe cose, però, magari, i nomi che mi immagino nel post Amadeus posso provare a farli».

L’unica cosa certa, secondo lui, è il progetto: «Non si può che lavorare come è accaduto in questi anni, ovvero a lungo termine, coinvolgen­do la parte artistica che al Festival ha avuto e avrà sempre grande libertà di espression­e e, ovviamente, gli sponsor», grazie ai quali, anno dopo anno, Sanremo è sempre più un brand.

Se non fosse lo stesso uomo che aveva sei anni quando il padre Aristide posò il primo mattone, se non fosse che sotto i suoi occhi (e le sue orecchie) sono passati proprio tutti gli artisti possibili e immaginabi­li, e tutte le canzoni degli ultimi 70 anni e oltre, gli si potrebbero anche fare delle domande tipo: qual è la sua canzone preferita? E il Festival meglio riuscito? Ma non si può. Eppure, qualche risposta, per nulla scontata, Vacchino nel taschino ce l’ha: «La mia canzone preferita in assoluto è A te di Jovanotti e non è del Festival. Ma basta ascoltarla per capire i momenti felici che la trovavano sempre sul cruscotto della mia macchina».

E, il Festival più potente è proprio quello del Covid: «La dea bendata ci ha fatto male ma, siccome siamo stati coraggiosi, ci ha premiato con milioni di persone e i Maneskin che poi ci hanno trainati all’eurofestiv­al, hanno fatto grande Torino, e ci portano nel mondo».

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Autori Walter Vacchino e, a destra, Luca Ammirati

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