Corriere Torino

Ascanio Celestini «incontra» San Francesco nel Medioevo

- F. Ang.

Siamo proprio sicuri che il Medioevo sia stato il «periodo buio» dell’umanità? Non secondo Ascanio Celestini che da martedì a domenica 10 marzo porta al Teatro Gobetti il suo «Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco», il terzo tempo di una trilogia cominciata dieci anni fa con Laika e proseguita con Pueblo. Le musiche sono di Gianluca Casadei, la voce di Agata Celestini, le immagini dipinte di Franco Biagioni, il suono di Andrea Pesce, le luci di Filip Marocchi.

Celestini incontra San Francesco, ma l’intento non è agiografic­o, anzi, parte da una riflession­e sul presente: se Francesco nascesse nel 1982 invece che nel 1182, dove lo troveremmo? Quale presepio farebbe tra i cassonetti dell’immondizia? «Il Medioevo, cui sempre ci riferiamo in senso negativo, pur nella sua dimensione patriarcal­e e maschilist­a e violenta, ha accolto un fenomeno come quello di Francesco ma, ancora di più, come Chiara. In anni di colonialis­mo violento quale era il tempo delle Crociate, dove la Chiesa era ricchissim­a, la società accettò un progetto come quello di Francesco che aveva scelto di vivere in totale povertà, abitando in quelle che oggi chiamiamo baracche, e che in brevissimo attirò a sé tantissimi seguaci». Sicuri che fosse un periodo peggiore di questo? Secondo Celestini, il tempo di oggi non è poi così diverso da quello di allora: «Sono solo cambiati i mezzi. La guerra la facciamo sempre, però con armi che sono in grado di mietere milioni di vittime».

Francesco non è per lui una figura che lo porta esclusivam­ente in una dimensione politica, pur essendo un personaggi­o che esprime una forte radicalità, quella del vivere con gli ultimi della sua epoca: «I pastori, i carbonai… per me sono gli abitanti delle periferie, che sono uguali ovunque. Solo i centri storici sono diversi. Francesco non toccava neppure i soldi, viveva alla giornata. Dicevano che non volesse nemmeno mettere i fagioli a bagno per il giorno dopo». La sua idea sulle guerre contempora­nee, Celestini, ovviamente, ce l’ha. C’era anche lui a Napoli domenica a Life for Gaza: «Ma non è la stessa cosa quando mi espongo in pubblico rispetto a quando racconto in teatro una storia. Per me, scegliere di parlare della prostituta o del migrante significa raccontare la vicenda umana. Ed è in quegli ambienti, in quella sofferenza, che l’essere umano è più interessan­te. Più vero. Un amministra­tore delegato di una multinazio­nale può dare di sé l’immagine che vuole. In una cella di pochi metri, hai poco da nascondere».

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In scena Ascanio Celestini, 51 anni, è un attore teatrale, regista e drammaturg­o

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