Una e trina, la mostra «Insurrezioni» racconta chi protesta
● La mostra «Insurrezioni. Fotografie di una protesta» immortala le manifestazioni pro Donald Trump a Washington del 2021, la rivoluzione degli ombrelli gialli a Hong Kong e la resistenza degli Indiani d’america negli anni 70
Sono tre le mostre che si intersecano nei suggestivi spazi di Flashback Habitat, immersi nel verde della precollina, per il progetto «Insurrezioni. Fotografie di una protesta» (da oggi al 2 giugno) in cui, spiega il direttore artistico Alessandro Bulgini, «protagoniste sono comunità non più passive, ma attive, fatte di persone che scendono in piazza, che si espongono e si impegnano sul tema dei diritti». Una «tripersonale molto commovente», sottolinea, per raccontare tre vicende, passate e recenti, attraverso l’opera di altrettanti fotografi. Con una soluzione originale ed efficace, ogni mostra non si conclude in uno spazio dedicato, ma prosegue di sala in sala intrecciandosi con le altre. Così le manifestazioni pro Donald Trump a Washington del 2021 sono messe in relazione con la rivoluzione degli ombrelli gialli a Hong Kong e con la resistenza degli Indiani d’america negli anni 70. In «Path to insurrection» (a cura di Jacopo Buranelli) lo street photographer Chris Suspect (1968) racconta la «reazione a catena» che è cresciuta lungo quattro anni di proteste: Black Lives Matter, pandemia, Metoo, fino all’assalto a Capitol Hill di Washington il 6 gennaio 2021 da parte dei supporter di Trump dopo la vittoria di Biden. «Riesco a penetrare in molti luoghi grazie al fatto che uso una semplice Leica, e molti non hanno idea che io sia un photoreporter. L’unica volta in cui ho avuto davvero paura è stata proprio davanti a Capitol Hill quando ho temuto di essere schiacciato dalla folla». In un gioco di rimandi interni gli scontri pro e contro Trump si confrontano con le immagini della mostra «Yellow Movement» (a cura di Patrizia Bottallo), in cui Enrico Gili (Torino, 1973), che ha vissuto molti anni a Hong Kong, racconta le proteste pacifiche del 2014 e 2019 con cui i cittadini dell’ex colonia britannica chiedevano a Pechino di rispettare la promessa di mantenere la democrazia. Analogamente, attraverso fotografie vintage del giornalista e attivista Angelo Quattrocchi (1941-2009) e i documenti originali da lui raccolti, la mostra «Wounded Knee. Indiani alla riscossa» (a cura di Lapo Simeoni, figlio di Quattrocchi) documenta la rivolta del 1973 che ha visto nativi americani resistere, con qualche vecchio fucile e per 70 drammatici giorni, alla pressione di mille agenti dell’fbi, della Cia e dei carri armati. «L’essere umano deve ribellarsi ai soprusi, sempre», sottolinea Simeoni. Mutano i luoghi, i volti e i decenni, ma si conferma la forza della fotografia «come linguaggio universale capace di trascendere lo spazio e il tempo», sottolinea Buranelli.