E Fossati ora accusa: «Uno stop ideologico Italia in grave ritardo sui serbatoi irrigui»
L’associazione dei consorzi delle acque irrigue: «Servono 10 anni per nuove dighe, nel frattempo sarà meglio utilizzare più acqua dal Lago Maggiore»
Èdifficile quantificare gli invasi necessari in Piemonte, anche perché prima occorre efficientare la rete di distribuzione e ridurre gli sprechi. Ad esempio, secondo Coldiretti Piemonte, si può passare da metodi di irrigazione che hanno un’efficienza compresa fra il 40 e il 50 per cento a strategie che arrivano al 90 per cento. Già questo consentirebbe di risparmiare quasi metà dell’acqua, ma non si può certo cambiare tutto dall’oggi al domani.
Va anche considerato che, come ricorda Smat, in Italia la media di raccolta dell’acqua piovana è del 10%, mentre in Francia arriva al 30% e in Spagna al 40%. «Da tempo facciamo convegni sugli invasi e parliamo di questi problemi. Siamo indietro, abbiamo avuto una battuta di arresto dal Vajont e in particolare eravamo già molto indietro per gli invasi irrigui», dice Mario Fossati, direttore di Anbi Piemonte, associazione regionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue. «In Piemonte ci sono sei dighe a scopo prettamente irriguo – aggiunge – e cioè una capacità di 18 milioni di metri cubi su un totale di circa 390».
La questione è molto complessa, anche perché alcune dighe sono state riconvertite, o sono in fase di riconversione, per un utilizzo multiplo: produzione di energia idroelettrica e acqua potabile (come la diga di Rochemolles poco sopra Bardonecchia) o per le irrigazioni. Sono progetti che hanno bisogno di condivisione e finanziamenti, senza contare l’altro ostacolo rappresentato dalla burocrazia.
«Di solito c’è un costo di progettazione che arriva al 5% del totale – aggiunge Fossati – e qualcuno lo deve anticipare. In Piemonte gli enti irrigui sono privati e sono gli agricoltori a sobbarcarsi questa spesa; è molto difficile». Sul piano dell’efficientamento, però, esistono dei progetti, spiega Fossati, sui canali Regina Elena e Cavour, che attraversano il «triangolo d’oro del riso». «Se non ci fosse stata una chiusura ideologica negli scorsi anni – aggiunge il direttore di Anbi Piemonte – ora saremmo molto più avanti. Il 2022 ci ha fatto capire che l’acqua non è più così abbondante come prima. Avremmo dei grossi vantaggi utilizzando più acqua dal Lago Maggiore, ad esempio, perché da qui a quando costruiremo nuove dighe passeranno altri dieci anni».
Se è vero che sul tema esiste un «effetto Vajont», come ha detto anche il presidente di Smat, Paolo Romano, è anche vero che costruire sbarramenti comporta una necessaria fase di confronto. Sulla Diga del Sèssera nel Biellese, ad esempio, le associazioni ambientaliste hanno criticato le modalità con cui la Regione avrebbe richiesto il finanziamento, come una positiva valutazione d’impatto ambientale ottenuta in un contesto troppo datato (2014) e quindi ora differente. Mentre sul Lago Maggiore esiste una forte polemica da parte di alcuni comuni che si affacciano sul bacino idrico, il cui livello minimo (deciso da Piemonte e Lombardia) è stato innalzato per garantire una riserva maggiore di acqua.
Una decisione che, secondo diverse realtà, creerebbe problemi al turismo. Questione opposta in l’estate. Resta la necessità di ridurre le perdite del sistema, che nel Torinese – nell’area di 293 comuni gestita da Smat, per un totale di 15 mila km di tubature – è intorno al 30%, comunque inferiore alla media nazionale del 43% ma importante. L’obiettivo è scendere al 20% migliorando il monitoraggio e intervenendo caso per caso.