Corriere Torino

Il corista del Regio e il manager «Tra me e Graziosi solo stima»

La versione di Guenno, a processo per traffico di influenze

- Simona Lorenzetti

«Non ci fu alcun patto tra me e Graziosi». Sul punto Roberto Guenno, corista del teatro Regio, è stato perentorio rispondend­o al fuoco di fila delle domande del pubblico ministero Elisa Buffa. Siamo alle battute finali del processo in cui Guenno è accusato di traffico d’influenze illecite: secondo la tesi della Procura, «sfruttando» le proprie conoscenze all’interno del M5S e «le relazioni con la sindaca Chiara Appendino», sarebbe riuscito a far nominare William Graziosi alla guida della Fondazione lirica torinese.

Ottenendo come contropart­ita dopo l’insediamen­to — è l’ipotesi d’accusa — una brillante carriera negli uffici amministra­tivi. In due ore il corista ha ricostruit­o con dovizia di particolar­i quello che accadde tra il 2018 e il 2019: una stagione politica in cui emersero in maniera dirompente le difficoltà economiche della Fondazione di piazza Castello. Il punto chiave del procedimen­to sono le presunte manovre in seguito all’addio di Walter Vergnano e la necessità di trovare un successore per evitare il commissari­amento. Gli atti dell’indagine raccontano che il ruolo di sovrintend­ente avrebbe dovuto essere ricoperto da Giancarlo Del Monaco, figlio del tenore Mauro, ma anche di come le carte in tavola cambiarono repentinam­ente. Da qui le spiegazion­i di Guenno, che all’epoca era anche sindacalis­ta: «Mi avvicinati al Movimento 5 Stelle nel 2013, quando Appendino era consiglier­a. In seguito, da attivista, entrai a far parte del “gruppo di lavoro cultura” e in particolar­e mi occupavo del teatro».

Ed è in questo ruolo che alla fine del 2018, a un pranzo, avrebbe conosciuto Graziosi: a presentarg­lielo sarebbe stato Pierluigi Dilengite (baritono ed ex consulente del ministero). «Rimasi colpito dalla sua visione managerial­e. Mi sembrava la persona giusta per portare avanti il piano di sviluppo del Regio, che in quel momento era un po’ caotico. Graziosi si era mostrato particolar­mente interessat­o sia agli aspetti legati alla formazione che a quelli sulla possibilit­à di creare in teatro una compagnia stabile». E Del Monaco? «Un grande profession­ista, ma con un approccio più artistico e meno gestionale. Ricordo una sera: alla presenza della sindaca, disse che pensava di organizzar­e un banchetto al termine di ogni spettacolo. Il giorno dopo Appendino mi manifestò le sue perplessit­à, mi raccontò che non ci aveva dormito la notte. Il problema erano i costi».

Quanto alla propria promozione, avvenuta subito dopo la nomina di Graziosi, il corista ha spiegato di essersi limitato a presentare domanda per un cambiament­o di ruolo «anche per ragioni familiari dopo due decenni di palcosceni­co al ritmo di 120 serate l’anno». Poi ha insistito: «Non volevo favorire nessuno. I miei fini erano nobili: aiutare il teatro a diventare un’eccellenza. Tra me e Graziosi c’era stima, pensava avessi le competenze per lavorare al piano di sviluppo».

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