«Ho deciso di affrontare le mie crisi di sincerità»
L’idea di mettere insieme due Premi Strega, Tiziano Scarpa e Francesco Piccolo, in un incontro, domani alle 20.30 al Teatro Astra, è stata del direttore artistico del Tpe Andrea De Rosa. Il dialogo, La
cattiva luce, si tiene al termine dell’edipo re diretto dallo stesso De Rosa ed è in collaborazione con il Circolo dei lettori. Il fulcro è il romanzo La
verità e la biro di Scarpa.
Che energia pensa scaturirà da voi due?
«È un invito intriso di spudoratezza. Sia io che Piccolo siamo catastroficamente per bene, non siamo artisti feroci ma cerchiamo di esserlo il più possibile nelle nostre scritture, soprattutto nei confronti di noi stessi».
Chi lo è di più?
«Lui, avendo scritto molti più libri autobiografici. Io solo quest’ultimo. Per la precisione, altri miei romanzi erano disseminati di affondi autobiografici, ad esempio Come ho preso lo scolo , ma è la prima volta che lo affronto con questa forma rotonda».
Cosa l’ha condotta a scrivere una autofiction?
«Dei danni di salute. E poi una vacanza in un’isola greca, a Kos, che racconto. Queste due cose mi hanno messo in discussione facendo riaffiorare una serie di aneddoti della mia vita molto critici per quanto riguarda dei momenti di crisi di sincerità. Nel libro ne racconto alcune avvenute 40, 30, 20 anni fa. Semplicemente perché è importante tutelare la segretezza delle vite degli altri».
Lei concorda con la tesi che più si va indietro e più ci si avvicina all’io bambino e alla verità di noi stessi?
«Non ho il mito dell’infanzia autentica. Sono convinto che più si va avanti più si scoprono cose sulla vita. Sono molto contento di procedere nell’esistenza e continuare a scoprire un sacco di cose. Sono ancora incantato dalle sorprese della vita. Non sopravvaluto l’infanzia né l’adolescenza e neppure la prima giovinezza».
La verità, che è il tema dell’incontro, è come si dice spesso sopravvalutata?
«Non sono d’accordo. Se per verità intendiamo la sincerità dei rapporti umani e non se abbia ragione Darwin o la Bibbia, che non è quello di cui scrivo io. Non lo penso perché la nostra società si fonda sulla reticenza e sull’ipocrisia e quindi la verità non è sopravvalutata proprio perché è rara come l’oro. Pensiamo in un ufficio, dicessimo davvero cosa pensiamo dei colleghi creeremo conflitto».
Si può dire però anche qualcosa che sia vero e meraviglioso.
«È il motivo infatti per cui mi sono innamorato della poesia e della letteratura. Ci vuole molto coraggio a scrivere
M’illumino d’immenso. Figuriamoci a dirlo in ufficio. Facevo le medie quando comprai il mio primo libro di poesie. Era Ungaretti».
Se lo vede un ragazzino, oggi, comprarsi Ungaretti?
«Non poniamo limiti ai ragazzini. Che poi, mica ce lo verrebbero a dire. Quelle sono azioni fondanti dell’identità e non sono esibite. C’è bisogno di avere dei segreti».