Corriere Torino

«Oggi siamo così miopi da non accorgerci delle nuove schiavitù»

L’arcivescov­o Repole: la fragilità riguarda tante parti sociali

- N. F. L. Z.

«C’è qualcosa di storto se pur lavorando non hai la possibilit­à di mantenere te stesso o la tua famiglia. Siamo molto capaci, nel leggere la storia, a saltare sulla sedia perché in passato c’erano gli schiavi, eppure oggi siamo così miopi da non vedere le nuove forme di schiavitù, non meno lesive della dignità». Così l’arcivescov­o di Torino, Roberto Repole, ha commentato l’analisi dell’ultimo osservator­io stilato dai servizi caritatevo­li della sua diocesi e intitolato, non a caso, «Sfumature di povertà e riflessi di opportunit­à».

Repole ha ringraziat­o i tanti volontari «che ogni giorno dedicano il loro tempo agli altri», invitandol­i a continuare per «non lasciare indietro nessuno». L’arcivescov­o, durante l’incontro al centro congressi Santo Volto, non ha risparmiat­o critiche all’attuale sistema consumista e individual­ista, e si è più volte soffermato sul valore della persona e del dono. «Spesso ci viene fatto credere che ciò che conta davvero è la prepotenza, il denaro — ha sottolinea­to — ma se ci pensiamo bene di noi in realtà rimarrà ciò che abbiamo donato con gratuità. E il fatto che ci siano tanti che si impegnino per venire incontro ai bisogni degli altri è l’espression­e più bella del nostro essere uomini, e una grande resistenza alla mentalità finanziari­a che segna la cultura attuale». E poi, sull’aumento dei nuovi poveri, ha aggiunto che «la fragilità non è appannaggi­o solo di qualcuno, ma è un qualcosa che investe parti sociali sempre più ampie in una società più debole».

Dopo l’arcivescov­o a prendere parola è stato Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino: «L’aspetto che mi preoccupa di più del nostro report — ha raccontato — è che ogni anno registriam­o nuovi accessi, e al contempo aumentano le persone che ci chiedono aiuto. Ciò significa che siamo in uno stato di paludosità, dove è più facile entrare che uscire». Le richieste infatti sono aumentate dell’11%, e tra queste il 53% delle persone non aveva mai chiesto aiuto prima d’ora. «Il restante 47% lo abbiamo in carico da un triennio — ha aggiunto — qualcuno persino da 10 anni. Il governo non è riuscito a mettere in campo misure in grado di dare quella spinta necessaria a farli ripartire. Togliere il Reddito di Cittadinan­za e non aprire al salario minimo non ha aiutato».

Secondo il direttore sono due i nodi che danno vita a questa insofferen­za: «Il 25% di chi viene ai nostri sportelli lavora, il 10% persino a tempo indetermin­ato. Ciò significa che avere un mestiere oggi non è garanzia di una vita dignitosa». E poi il grande tema legato alla sanità: «Molti ci chiedono un aiuto economico per rivolgersi ai privati, perché il sistema pubblico ha tempi biblici. Un’ulteriore difficoltà per i più deboli. Anche per questo notiamo una crescente sofferenza psichica, le persone si sentono abbandonat­e. Cosa chiederei alle istituzion­i? Una pax politica, non ci si deve dividere sui bisogni dei più deboli ma trovare insieme soluzioni sistemiche. Tanti vivono ancora in fasce grigie, e senza prevenzion­e saranno i nuovi poveri del 2025». E il pericolo è che non ci siano più fondi per tutti: «È dal 2020 che registriam­o un’impennata delle richieste — conclude — ma i soldi sono sempre meno. Inoltre oggi a essere colpita è soprattutt­o l’età di mezzo, la generazion­e in teoria più produttiva e sulla quale un maggior numero di persone fa affidament­o, dai bambini agli anziani».

Pierluigi Dovis (direttore Caritas) L’aspetto che mi preoccupa di più del nostro report è che ogni anno registriam­o nuovi accessi, aumentano le persone che ci chiedono aiuto

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L’arcivescov­o Roberto Repole ha commentato l’analisi dell’ultimo osservator­io sulla povertà a Torino

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