Corriere Torino

Clima e guerre, caffè e cacao in crisi

- di Luca Iaccarino

Il chilometro zero, chi se lo ricorda? Decenni prima che il ministro Lollobrigi­da facesse tornare di moda la sovranità alimentare era partita una battaglia per il cibo locale, per le produzioni di prossimità, per l’erba del vicino (che è sempre più verde). Una riflession­e sacrosanta, in un mondo in cui la globalizza­zione provocava e provoca anche distorsion­i, come hanno sottolinea­to i trattori in giro per l’europa nelle scorse settimane. Il chilometro zero era una reazione a trasporti con enorme impatto ambientale, all’import da paesi con agricoltur­a non controllat­a, alle speculazio­ni. Presto, però, ci si è resi conto che «chilometro zero» era un concetto un po’ grossolano: dobbiamo smettere di mangiare banane? Non possiamo più fare i biscotti alla cannella? Dunque l’idea s’è fatta più precisa ed è stata declinata in «chilometro vero» o in «chilometro consapevol­e» (cui hanno dedicato un libro Carlo Petrini e Carlo Catani). In sostanza: non tutto ciò che viene da distante è male, dipende da chi e come lo produce, da come viaggia, da come si consuma.

Mi perdoneret­e questa breve introduzio­ne, ma è necessaria perché oggi voglio parlare di cacao e di caffè, due prodotti che definiscon­o l’identità della cucina italiana, di quella piemontese e torinese in particolar­e. Due piante che non crescono a zero chilometri di distanza, ma a migliaia. Cacao e caffè stanno vivendo una crisi che non si vedeva da decenni: la somma dei guai nelle aree di provenienz­a — da quelli climatici a quelli politici — e dello stress delle rotte del commercio internazio­nale, nel Mar Rosso in particolar­e, stanno rendendo difficilis­simi gli approvvigi­onamenti e carissime le merci che riescono ad arrivare a destinazio­ne. Il cacao e il caffè crescono in climi molto diversi dal nostro (almeno: fino a oggi) ma da secoli sono nel nostro DNA, e pochi, come gli italiani, ne hanno tratte leccornie. Il Piemonte e Torino in particolar­e: le eccellenti torrefazio­ni nel capoluogo e nell’area metropolit­ana — grandi, medie e piccole —, i cioccolati­eri, il gianduia, che ha fatto incontrare in maniera geniale un gusto lontanissi­mo e uno vicinissim­o, cacao e nocciola, a dimostrazi­one che i sapori, quando viaggiano e s’intreccian­o, producono meraviglie. Le crisi di cacao e caffè dicono che nessuna cucina è un’isola, che pensarsi liberi dal resto del mondo è un errore, a meno che non si voglia tornare a mettere cicoria nella moka. Il cibo (come le persone) deve poter viaggiare, se non si vuole tornare nella preistoria. Che mondo sarebbe senza espresso? Che mondo sarebbe senza Nutella?

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