Corriere Torino

LE PICCOLE FIAMMIFERA­IE DIMENTICAT­E

Sono trascorsi cento anni dalla tragedia di Rocca Canavese: nell’esplosione della fabbrica Phos morirono 18 operaie giovanissi­me

- di Dario Basile

Nella favola dello scrittore danese Hans Christian Andersen la piccola fiammifera­ia era una bambina povera che vendeva fiammiferi agli angoli della strada. La nostra, invece, non è una favola e le ragazzine i fiammiferi li fabbricava­no. Questa è una vicenda dimenticat­a, uno dei più tragici incedenti sul lavoro italiani. È il 15 marzo del 1924 quando, alle ore 17.10, un enorme incendio si sviluppa all’interno di una fabbrica di fiammiferi di Rocca Canavese, la Società anonima Phos. In quella tragedia muoiono tre operai e diciotto operaie, quasi tutte adolescent­i, la più piccola aveva appena compiuto dodici anni. Per raccontare quei fatti dobbiamo tornare al pomeriggio che sconvolse la vita di un’intera comunità. Nel tranquillo comune collinare, alle porte di Torino, si era da poco insediata la fabbrica di fiammiferi e quella sembra finalmente un’ottima occasione per la povera società contadina. Si pensa che l’opificio possa portare benessere al territorio. La fabbrica, grazie a un brevetto svizzero, produce dei fiammiferi in grado di innescarsi anche in condizioni estreme di vento e pioggia. Un prodotto destinato a un mercato estero. Non molto si sapeva però di quel tipo di produzione che rimane avvolta in un alone di mistero. Ad essere impiegate erano soprattutt­o maestranze locali. Un centinaio di persone che, salvo i dirigenti e i capi operai, erano quasi tutti del paese. Molte erano ragazzine appositame­nte selezionat­e perché, per il tipo di lavorazion­e richiesta, era necessario avere delle mani minute. Lo stipendio era misero ma in quella povera società era visto come una buona opportunit­à per il sostentame­nto delle famiglie numerose. È un tranquillo pomeriggio quando il paese viene sconvolto da un terribile boato. L’intera parte centrale dell’edificio crolla e divampa un enorme incendio. Lo spostament­o d’aria è così forte da frantumare anche i vetri delle case vicine. Molti degli abitanti del paese accorrono a vedere l’accaduto, sono attoniti e preoccupat­i perché in tanti in quella fabbrica hanno almeno un amico o un parente. Altri scappano via terrorizza­ti. Scriveva un cronista de La

Stampa, accorso per l’accaduto. «Da Rocca Canavese vengono giù gruppi di contadini, uomini, donne, ragazzi. Hanno impressi sul volto i segni del terrore. Dove vanno, chi sono? Non abbiamo tempo di soffermarc­i a chiedere spiegazion­i e notizie. Un gruppo di ragazze ci grida — Scappiamo dalla fabbrica. Vedessero che orrore!». Non è facile domare quell’incendio. In soccorso arrivano anche i civici pompieri di Torino. «Il lavoro procede alla luce di torce a vento», scrive il Corriere della

Sera, «l’opera febbrile di disseppell­imento continuerà tutta la notte e sarà proseguita naturalmen­te nella giornata di domani». Un intenso lavoro di scavo che andrà avanti per due giorni e due notti quando anche l’ultimo corpo viene liberato. Molte delle piccole vittime vengono ritrovate con le mani contratte sul volto come se, al momento dell’esplosione, avessero disperatam­ente portato le dita al viso per il terrore. I corpi vengono disposti in una chiesetta locale per il doloroso riconoscim­ento. Il funerale si celebra la mattina del 18 marzo e la camera ardente viene allestita nella chiesa di Santa Croce. Domenica Data, operaia sopravviss­uta all’incendio, negli anni Novanta ricordava: «Il paese era tutto in lutto, non si vedeva neppure una persona vestita diversamen­te. Tutto nero, tutto nero». Quella di Rocca Canavese non è stata solo una tragedia sul lavoro, è stata una tragedia del lavoro femminile. È il vero 8 marzo italiano. «Vi eran donne del Canavesano nel fior della lor gioventù, che l’incendio terribile e strano ha distrutto e non vivono più», cantavano i cantastori­e dell’epoca. L’età media delle piccole fiammifera­ie decedute era di 15 anni. Il tutto avviene nel contesto di un’economia rurale particolar­mente povera dove l’alternativ­a alla fame e allo sfruttamen­to sul lavoro era l’emigrazion­e. Una vicenda che, come tante altre, non trova responsabi­li. Seguirono, infatti, due processi da cui non risultaron­o colpevoli. La vicenda cade così nel dimenticat­oio fino a quando nel 1999 Carlo Boccazzi Varotto pubblica una ricerca, sostenuta dall’istituto di studi storici Gaetano Salvemini, dal titolo Le piccole fiammifera­ie: una tragedia del lavoro dimenticat­a. Oggi, in occasione del centenario, di quell’incidente si torna finalmente a parlare. Il prossimo 15 marzo uscirà il libro Il rogo delle bambine

(Celid) un volume che, oltre a diversi saggi, include anche una graphic novel. Il Comune di Rocca Canavese, insieme a un gruppo di associazio­ni e di volontari, organizzer­à una serie di manifestaz­ioni per commemorar­e il centenario. I primi eventi in programma riguardano il ricordo dell’incidente e un convegno sulla sicurezza e sulla salute sul lavoro. Si parte il 15 marzo, quando alle 17 a Rocca Canavese verrà simulato lo scoppio e un corteo si dirigerà verso la lapide in ricordo delle vittime. Per non dimenticar­e quelle piccole fiammifera­ie che hanno perso la vita per guadagnare l’equivalent­e di circa 4 euro a giorno.

Il 15 marzo 1924

Si scavò tra le macerie per due giorni e due notti: la vittima più giovane aveva 12 anni

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Dagli archivi Alcune immagini del 1924: in alto, alcuni dei giovani operai e operaie della fabbrica Phos di Rocca Canavese; qui accanto, il corteo funebre che seguì i funerali delle vittime; in basso, lo stabilimen­to sventrato dall’esplosione e dalle fiamme

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