Dentro la vita di Jana, tra «corvi» e madame
Abiti, fotografie, oggetti e video: il curatore Cilli presenta la mostra che al Circolo del Design riscopre Alda Farinella, scomparsa a febbraio
Vestita di nero, la zazzera bianca e perfetta. Una sigaretta in bocca e tra le dita. Una, dieci, cento sigarette. Alda Farinella è stata così fino alla fine. È mancata nella notte tra il 3 e il 4 febbraio. La potremo vedere ripresa nel breve video documentario prodotto dagli studenti dello Ied durante l’ultima avventura di questa pioniera della moda che, solo per una questione di pagine, definiamo torinese. Ideatrice di un negozio iconico come fu la boutique Jana — era il soprannome di sua mamma Adriana Corino, camiciaia bravissima che lavorava con i migliori negozi del centro, ma quando decise di aprire un’attività, lo fece in periferia per non disturbare: Alda frequentava la facoltà di Economia e Commercio ma poi l’abbandonò per lavorare con lei — ha avuto la sua da dire sulla moda fino a poco prima di morire, ideando una capsule collection di camicie rigorosamente bianche realizzate dal brand Serien°umerica di Maria De Ambrogio e Stella Tosco e lavorando a stretto contatto con alcuni studenti dello Iaad. Le piacevano molto quelle camicie (vendute al non simbolico prezzo di circa 400 euro) e fu felice quando, al suo ultimo compleanno, il 27 settembre, le comunicarono che c’era la volontà di celebrare la sua figura. «Diceva sempre che non era capace di fare niente. Ma non era vero. Lei era fantastica», ci dice l’architetto Maurizio Cilli che è, insieme a Stefano Mirti, il curatore di
Archivi d’affetto, il progetto ospitato dal Circolo del Design che mira a riportare in luce le storie di progettisti e sperimentatori che hanno sviluppato percorsi fuori dagli schemi e di grande valore ma poco conosciuti al grande pubblico, traiettorie irregolari di figure impreviste che hanno contribuito a plasmare in maniera profonda l’identità culturale della città. Questo di Alda è il secondo episodio e inaugura giovedì alle 18, il primo è stato dedicato a Leonardo Mosso e Laura Castagno.
Nell’esposizione c’è uno stralcio di quello che è stato il suo universo racchiuso in un negozio-atelier-galleria. Quando la intervistammo, nel 2019, ci raccontò di tanti (tutti era forse impossibile) volti che passarono di lì, da Colombotto Rosso a Baricco e Maurizio Vitale, da Aldo Busi a Edoardo Agnelli a Marco Camerana che, quando si seppe che lei lo vestiva, le fece piombare in negozio stuoli di «insopportabili signore bene». Era scostante Alda, per nulla gentile. «Andavo spesso da lei. Mi piaceva quella figura minuta, vestita sempre come se fosse in divisa con le scarpe di tela bianche, la polo bianca e la maglia nera con i bottoni sulla spalla. Mi divertiva quando entravano queste madame tutte sabaude che uscivano vestite come “corvi” neri. Dal canto mio, macinavo frustrazione, perché non c’erano mai le taglie per me. L’adoravo però. Ho ancora una maglia di Margiela di lana spessa, nera». Era quasi tutto nero, da Jana, appeso come opere d’arte alla parete bianca. «Entravi e accadeva una cosa unica, ti si accendeva il desiderio». Alda aveva occhio, intuito. Non è un caso che nel film We Margiela, dedicato al visionario stilista Martin Margiela (verrà proiettato il 4 aprile), ci sia una sua intervista-contributo, poiché Farinella era considerata molto più che una buyer. «Nel negozio che aprì in piazza Vittorio — spoglio, essenziale, con marchi sperimentali, qualcosa che prima non si era mai visto — c’era una lapide, opera del pittore Salvo che fu uno dei suoi clienti più affezionati. È lei che scopre i giapponesi, e sono loro a prendere in mano l’eredità punk». Ha il cuore spezzato Cilli, perché sarebbe stato bello averla all’inaugurazione. «Una cosa era fondamentale per Alda, quando parlava delle sue clienti una volta mi disse: “Finalmente si sono sentite belle”. Era pura alchimia».
Torinese
Amica di grandi artisti come Salvo e Colombotto Rosso, nella sua boutique ha vestito Edoardo Agnelli, Aldo Busi, Baricco...