Corriere Torino

«La mia esperienza di bambina Non un esempio, ma possibilit­à»

Chiara Valerio domani porta al Circolo dei lettori «Chi dice e chi tace» Racconta la storia d’amore tra due donne, ambientata nella sua Scauri

- Francesca Angeleri

«C’è voluto molto tempo perché maturassi la simpatia e l’amore per me stessa necessari a pensare che la mia esperienza personale — una bambina che desidera altre bambine e non può dirlo o non riesce — potesse servire a qualcuno. Non come esempio, ma come possibilit­à. Se fossi vissuta in un mondo dove le persone che parlavano alla radio o scrivevano sui giornali mi avessero fatto sentire possibile, forse avrei avuto meno occasioni di rattristar­mi». Chiara Valerio presenta domani al Circolo dei lettori alle 18.30 con Luciana Littizzett­o il suo ultimo romanzo Chi dice e

chi tace (Sellerio). Narra della storia d’amore tra Mara e Vittoria e della morte di quest’ultima su cui indaga l’avvocata Lea Russo. Anni 90, Scauri, il paese Natale di Valerio.

Anni 90: Scauri come Twin Peaks?

«Non ho mai visto Twin Peaks. Quando ero alle medie, non avevo la television­e e Twin

Peaks non era tra i programmi che mia nonna guardava. Di

Dallas so invece tutto. Però quell’anno ho letto per la prima volta i Promessi sposi che comunque è creepy come Lynch. Ovviamente questa esclusione era molto più forte di sentirmi “the only gay in the village” a Scauri».

Come è stato scrivere un romanzo ambientato nel suo paese?

«Un bagno di giovinezza. O così me lo racconto. Perché volessi farlo non lo so, so che l’ho fatto. Credo di scrivere perché così posso concentrar­mi sul come e non sul perché».

In qualche modo e in qualche tempo Vittoria e Mara sono esistite?

«Sono certa di averle viste, di averle sfiorate, e di certo di averle desiderate».

Che ruolo ha la differenza d’età tra di loro?

«Da un lato crea curiosità, dall’altro in paese alla fine puoi fare quello che ti pare purché non pretendi di parlarne e di essere accettato. Mi piaceva ribadire che ci sono cose che non possono essere dette ma neppure negate. E che l’esistenza non passa solo per una convenzion­e linguistic­a. Mara e Vittoria, ciascuna per sé e insieme, vengono prima delle loro abitudini sessuali e della loro relazione affettiva, sono presenti nella comunità come funzione. Che mi pare un grande relax in un’epoca di forte pressione identitari­a come quella che viviamo».

Michela Murgia aveva letto qualcosa di questo romanzo?

«No, ma le avevo raccontato della storia che scrivevo mentre stavo scrivendo Così per

sempre. Per distrarmi dal sistema venoso che stavo mettendo in piedi col conte Dracula redivivo. Ovviamente mi sfotteva. Ma sa io vivo per fare scherzi, talvolta di dubbio gusto, alle persone che amo. E devo dire che le persone che mi amano, lo fanno spesso e volentieri sfottendom­i. A partire dai componenti della famiglia in cui sono nata. Anche quelli che sono venuti dopo di me, tipo le mie sorelle e i miei nipoti».

È quasi commovente che Lea e Luigi appartenga­no al Partito Comunista. C’è ancora spazio per le ideologie e come ci si può rapportare a esse in una dinamica da IA?

«Penso che le ideologie consolino e quindi non si spegnerann­o mai perché abbiamo bisogno di consolazio­ne. L’idea stessa che gli algoritmi scelgano per noi beccheggia tra il terrore e la consolazio­ne di essere sollevati dalla responsabi­lità della scelta, che sia etica, pratica o politica. Penso che per questo l’amicizia è difficile, e Kundera lo scrive assai bene, perché l’amicizia è l’anti-ideologia, si può essere amici strettissi­mi di persone con le quali non si è quasi mai d’accordo né nel metodo né nel merito».

Sente una responsabi­lità politica in ciò che scrive?

«No. Fondamenta­lmente scrivo. La biblioteca della facoltà di matematica principalm­ente, e le bibliotech­e di conservazi­one, i libri, sono l’unica forma di attivismo che potrei riconoscer­mi. Cerco di scrivere e dire cose che posso sostenere. Non amo l’indignazio­ne che non passa per i gesti del corpo. E non amo le rivendicaz­ioni. Sono una persona di pratiche, mi pare. Insomma, ci provo».

Negli anni Novanta

Quando ero alle medie guardavo Dallas con mia nonna e ho letto I promessi sposi Questa esclusione era molto più forte di sentirmi “the only gay in the village”

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