Si chiama solastalgia L’ultimo disagio giovanile è l’ansia per l’ambiente
L’angoscia climatica aggredisce sempre di più i ragazzi
Si chiama ecoansia o angoscia climatica (se preferite solastalgia: malessere da ambiente violato) e colpisce soprattutto i più giovani. Che sentono in modo spesso paralizzante il disagio legato ai cambiamenti del clima e dell’ambiente. Un neologismo che fotografa bene l’inquietudine per il futuro, il senso di impotenza e frustrazione per il destino della Terra e insieme per il proprio destino.
Mentre gli adulti sembrano essersi fatalisticamente arresi e vedono il problema come qualcosa di forse inevitabile e paradossalmente ancora lontano (con un’immagine molto efficace si preoccupano di più di una spia che si accende in auto che dei problemi dell’ambiente) giovani e giovanissimi arrivano a sviluppare vere e proprie sindromi depressive. Se ne è parlato qualche giorno fa nel seminario «Walking psychology for wellness» organizzato dall’ordine degli Psicologi del Piemonte in collaborazione con l’ordine della Valle d’aosta, che ha riunito a Rhêmes-notre-dame
una quarantina di professionisti, ospite d’eccezione il climatologo Luca Mercalli, a conferma dello stretto legame tra salute psicologica e dell’ambiente.
Un fenomeno assolutamente nuovo, con cui gli psicologi si stanno misurando da poco e per cui si cercano strade anche alternative.
Il presidente dell’ordine del Piemonte, Giancarlo Marenco, ha sottolineato il crescente disagio dei giovani per i timori legati al futuro del pianeta: «Come ordine possiamo fare qualcosa e vorremmo avviare una collaborazione strutturata con Luca Mercalli». Il quale dal canto suo, ribadisce che la crisi climatica è ancora troppo sottovalutata « il tema ambientale sta addirittura regredendo e la collaborazione fra i “medici del sistema Terra”, i climatologi, e i “medici del sistema uomo”, gli psicologi è fondamentale per trovare una soluzione. Ed evitare di trasformare la Terra in un luogo ostile all’homo sapiens».
Come si manifesta l’ecoansia nei più giovani? Con crisi di panico, sensi di colpa per non fare abbastanza. Negli Stati Uniti l’american psychological association da anni mette guardia sul fatto che i cambiamenti climatici stanno colpendo la salute mentale, da noi l’ecoansia è ancora poco studiata. Se non diventa eccessiva, è una sorta di campanello d’allarme e può essere anche costruttiva e spingere a comportamenti virtuosi che non solo contribuiscono a migliorare le condizioni ambientali, ma aiutano ad affrontare il disturbo e passare da una visione egocentrica di sé a una percezione «ecocentrica». C’è chi opta per brand etici o vestiti di seconda mano, chi mangia solo cibo a chilometro zero o prodotti sfusi, chi diventa vegano, chi non usa più l’aereo , chi si impegna come attivista per l’ambiente.
Ma se l’ecoansia si intreccia con altri fattori personali, può diventare patologica e paralizzante, associandosi per esempio a disturbi del comportamento alimentare. Se il pianeta rischia di non poter più produrre nutrimento, si rinuncia al cibo. Si è paralizzati nelle scelte: non si trova più senso per esempio a studiare qualcosa perché piace, ma solo quello che serve al pianeta. E poi attacchi di panico notturni, stress, burnout, apatia: niente sembra più avere significato. Che fare? Tra le buone pratiche già promosse per esempio nel Nordeuropa per l’ ecoansia c’è l’invito all’impegno attivo insieme al recupero del rapporto con la natura. Al seminario in Val d’aosta il ricercatore e psicologo Francesco Becheri ha proposto la Terapia Forestale Sperimentale, un’ immersione nella natura incontaminata.
Sarà proprio la natura che stiamo distruggendo che alla fine ci salverà?
La collaborazione fra i “medici del sistema Terra”, i climatologi, e i “medici del sistema uomo”, gli psicologi è fondamentale per trovare una soluzione
Giancarlo Marenco Se l’ecoansia si intreccia con altri fattori personali, può diventare patologica e paralizzante, associandosi a disturbi del comportamento alimentare