La Lazarus Band risorge per una notte
I 7 musicisti si ritrovano stasera alle 21 al Cinema Massimo Un unico appuntamento realizzato con il Museo del Cinema
● Stasera al cinema Massimo, la Lazarus Band sonorizza il film «Orlac’s Hände» di Robert Wiene
● Alle 21, 10/8 euro
● Creata per lo spettacolo «Lazarus» di Valter Malosti, la band è formata da Laura Agnusdei (sax), Jacopo Battaglia (batteria), Ramon Moro (tromba), Amedeo Perri (tastiere), Giacomo Rossetti (basso), Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti (chitarre)
● Il progetto sonoro di «Lazarus», curato da G.U.P. Alcaro, ha vinto il Premio Ubu 2023. Questa è la prima volta che i sette musicisti tornano a suonare assieme dopo le ultime repliche dello spettacolo
● Diretto da Robert Wiene nel 1924, il film «Orlac’s Hände» è stato restaurato dal Museo Nazionale del Cinema
«Lazarus, alzati e suona». Chissà se Stefano Boni del Museo Nazionale del Cinema, gran demiurgo delle sonorizzazioni di film muti al Massimo, ha usato anche tecniche di persuasione bibliche per convincere la Lazarus Band, il supergruppo messo su da Valter Malosti l’anno scorso per il suo spettacolo «Lazarus», a risorgere per una notte. Questa notte. Stasera alle 21 Laura Agnusdei (sassofono), Jacopo Battaglia (batteria), Ramon Moro (tromba), Amedeo Perri (tastiere), Giacomo Rossetti (basso), Stefano Pilia e Paolo Spaccamonti (chitarre) si ritroveranno con strumenti e amplificatori sotto lo schermo della sala grande di via Verdi, questa volta senza David Bowie nella bussola (sul suo repertorio era basato «Lazarus»), bensì con il compito di dare una colonna sonora dal vivo al film «Orlac’s Hände» («Le mani di Orlac»), horror espressionista diretto nel 1924 da Robert Wiene (il regista famoso per «Il gabinetto del dottor Caligari») e restaurato dal Museo del Cinema.
Che tutto ciò avvenga a Torino ha un bel carico simbolico. Perché è proprio sotto la Mole — più precisamente, sotto i tetti dei Docks Dora — che la band ha visto la luce nell’inverno del 2023, quando i sette musicisti si sono trovati al Superbudda, lo studio di Gup Alcaro (l’uomo dei suoni di Malosti) e Davide Tomat, per trovare gli arrangiamenti giusti ai brani di Bowie che sarebbero serviti a teatro. «Inizialmente Valter aveva pensato a musicisti jazz», racconta Paolo Spaccamonti, anche lui fedelissimo di Malosti e quota torinese (con Ramon Moro) del gruppo. «Poi ha cambiato idea e la band è nata seguendo i suoi input e quelli di Manuel Agnelli, protagonista dello spettacolo». La selezione si è spostata verso il meglio offerto in Italia in quella no man’s land in cui si fondono rock, rumore e sperimentazione, puntando su collaboratori abituali di Zu, Iosonouncane, Julie’s Haircut, Ardecore, Massimo Volume, Afterhours e dello stesso Agnelli. «L’anno scorso abbiamo lavorato un po’ a distanza — anche a gruppetti, io e Stefano sulle chitarre, Laura e Ramon sui fiati — poi ci siamo trovati per due periodi al Superbudda, tutti assieme con Gup». Un metodo che ha dato ottimi risultati, sia nella stagione della semina sul palco che in quella della raccolta dei premi: Alcaro ha vinto l’ubu per il miglior progetto sonoro teatrale del 2023. Squadra che vince non si cambia. Location, pure. Da mercoledì i membri della Lazarus Band si sono di nuovo riuniti al Superbudda, per lavorare questa volta sulle atmosfere dark di «Orlac’s Hände», un film su un pianista che perde le mani in un incidente e a cui ne vengono trapiantate due appartenute a un assassino, con complicati effetti collaterali («Quando ho visto “Lazarus” al Carignano, ho subito pensato che fosse la band perfetta per questo film», dice Boni). «Ci sono diversi modi per avvicinarsi a una sonorizzazione», spiega Spaccamonti, che del mestiere se ne intende: con Pilia ha portato «L’uomo con la macchina da presa» di Dziga Vertov fin a Berlino, con Moro si appresta a lavorare su «La bambola di carne» di Ernst Lubitsch, nuova commissione del Pesaro Film Festival. «Quando abbiamo fatto “Greed” di Von Stroheim al Massimo nel 2020, un altro progetto con tanti musicisti, avevamo anche scritto delle parti. Io però preferisco il metodo
Online che adotteremo per “Orlac’s Hände”: non scriviamo nulla, lavoriamo per moduli, decidiamo quali strumenti devono intervenire, magari spunta fuori anche un tema. Di sicuro ognuno metterà il suo sound personale e caratteristico, dal cui amalgama credo sia dipeso il successo di “Lazarus”. Una come Laura può suonare in dieci gruppi diversi ma basta una nota di sax per riconoscerla. Lo stesso vale per Amedeo — l’uomo-synth di Iosonouncane — e per tutti gli altri». L’incantesimo durerà davvero solo una notte. Fino alla prossima resurrezione di «Lazarus» (lo spettacolo), ormai quasi certa anche se non ancora annunciata.