«La Maria Brasca insegna il diritto al desiderio»
Marina Rocco porta al Gobetti il celebre personaggio di Testori
La scena si apre su una musica, una meravigliosa canzone «vecchia Milano», Quella cosa in Lombardia, sulle note di Fiorenzo Carpi. E la voce, inconfondibile, di Adriana Asti. «Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore. Dico proprio quella cosa che tu sai. E che a te piace credo quanto a me…». Da martedì a domenica va in scena al Teatro Gobetti La Maria
Brasca di Giovanni Testori per la regia di Andrée Ruth Shammah. Protagonista è Marina Rocco. La Brasca, come la chiama Rocco che oggi intervistiamo, è un personaggio indimenticabile di Testori e fu il cavallo di battaglia di Franca Valeri e Adriana Asti. Fu l’unico personaggio vincente tra quelli del drammaturgo lombardo. Una donna libera da ogni convenzione che inneggia all’amore e alla passione. Fa la calzettaia in una fabbrica milanese e soprattutto fa l’amore, senza problemi. È un invito ad avere fiducia nel futuro, a seguire i propri sogni. Difendendo tutto ciò che conta.
Marina Rocco, come ci si sente a interpretare un personaggio che è stato di mostri sacri come Franca Valeri e Adriana Asti?
«Mi sono dichiarata sconfitta in partenza. Se fossero state due attrici meno immense, avrei avuto più il panico. Ma sono talmente grandi che il paragone è impossibile. Anzi. Andrée ha rimesso in piedi La Brasca degli anni 90 e io indosso i vestiti che furono di Adriana Asti. Ho studiato il video delle pièce e faccio delle cose esattamente come le faceva lei».
Per esempio?
«Metto una gamba sulla sedia come faceva lei, prendo una borsetta tra i denti… gesti, citazioni. Lo spettacolo comincia con lei che canta il brano di Carpi e io dico al pubblico: “Questa è Adriana Asti”, e le mando un bacio. È un omaggio dichiarato».
È stata una sua idea?
«Di Andrée, che ha conosciuto profondamente Testori. Da subito ha chiarito che questo spettacolo aveva senso solo se messo in connessione con la sua storia».
Non è la prima volta che lavora con Andrée Ruth Shammah. Che tipo di regista è?
«È una maestra come oggi non ne esistono più, si porta dietro cinquant’anni di storia del teatro. Ha una profondità fuori dal comune che si mastati nifesta molto in questo concetto della memoria, dell’avere ben presente da dove si arriva per poter andare avanti. Io le sono molto grata».
Per cosa?
«Per avermi offerto i ruoli più belli che ho interpretato. I personaggi che mi ha affidato mi hanno permesso di costruire un percorso unico. In
Ondine di Jean Giraudoux, per la prima volta mi diede l’occasione di stare in scena dall’inizio alla fine. Con Gli
innamorati di Goldoni siamo dappertutto. E poi c’è stata Casa di bambola di Ibsen, che era il mio sogno».
E ora c’è La Maria Brasca. «Che mi sta dando talmente tanto…».
Che cosa le sta dando?
«La Brasca fa bene alla salute. Lo dico sempre. Perché è una donna che si prende con tutta la forza il suo diritto al desiderio, e quindi allo stare al mondo. Anche in una realtà di poca soddisfazione, in un mondo in cui i padroni sono altri, lei dice: “I padroni del desiderio siamo noi”. Poi uno ci mette quello che vuole. Nel desiderio c’è il potere, ma non solo. C’è la dignità».
A volte il desiderio la toglie la dignità.
«È quello che le dice il suo amato: “Ma non ce l’hai più la dignità”. E lei: “Dignità è ciò che io e te abbiamo fatto insieme”. Persegue ciò che desidera al di là di tutto, della famiglia, della società, di lui. Indipendentemente da ciò che riceve indietro. Non si aspetta niente dall’esterno. Ama per amare non per essere amata. È un’eroina». Come la cura La Brasca? «Erano nove mesi che non la facevo, e le ho chiesto scusa. Per non essermi comportata come fa lei, che non chiede agli altri di essere illuminata. La Brasca entra in scena e accende il lumicino della sua cameretta. Da sola».
❠ Il lavoro sulla memoria
Vesto i panni che furono di Adriana Asti e Franca Valeri: mi sono dichiarata sconfitta in partenza. Sono immense, il paragone è impossibile. Sarà un omaggio