Ode a Bra, la «sorella» più simpatica
Carissimo direttore, la sua Annina che anche questa settimana le invia una paginetta dell’amico scrittore della nonna in vena di ricordi, a lei e buona lettura. «Vabbé che è Granda, ma solo la Provincia Granda racchiude ben 7 piccole città chiamate appunto le 7 sorelle: Cuneo, la più salubre, la più riservata; Mondovì, la più austera, la più montana; Saluzzo, la più storica, la più romantica; Savigliano con una delle piazze più armoniose (e sconosciute) d’italia, piazza Santorre di Santarosa; Fossano, la più turrita, la più placida; Alba, la più laboriosa, la più milanese (dunque cara); e Bra, la più simpatica e bon. A Bra le contraddizioni si sprecano, ha una delle più astratte piazze del Nord, piazza della Rocca, con un’aerea passeggiata sopra gli antichi magazzini porticati, e pure una delle più disarmoniche, piazza Carlo Alberto, dove secoli di architetti pazzi hanno fatto a gara per sconciare al meglio quello che era storicamente un pacioso mercato del bestiame (il Pàsc). Quand’ero ragazzo, nell’antico centro storico, quello appeso alla collina, neppure si entrava, così fosco e umido seppure illuminato nella parte alta dalla più fastosa chiesa di Bernardo Vittone, Santa Chiara, avvitata su un bricco con forti pendenze, capolavoro del Rococò piemontese. Altre contraddizioni? Massì, una delle cittadine più allegre e spregiudicate malgrado la vocazione conventuale nonché — o forse proprio per questo — antico insediamento militaresco. Una cara amica che non c’è più a un ballo negli anni ’60 a Torino rispose al cavaliere che l’aveva invitata chiedendole se in un posto come Bra ci si annoiasse: “Niente affatto, ci sono tre cinema e quattro caserme”. Per dire che di noioso non c’è niente. A Bra è nato San Giuseppe Cottolengo, dunque luogo pretesco? Mannò, la città ha dato i suoi natali ad almeno due campioni di laicità, Emma Bonino e Carlin Petrini. C’è nata anche Gina Lagorio e Gianni Arpino ha passato qui gli anni più belli. C’è una famosa lettera della Gina al caro amico Arpino che inizia così: “A Bra sei stato felice Giovanni?” nella quale ricorda la loro giovinezza, le gite alle Rocche di Pocapaglia, le luminose estati. Ecco, le estati braidesi, con la bicicletta nei pioppeti al Bischirùn, l’andare per bialere, o sulle spiaggette fra Stura e Tanaro tanto che si diceva: “Oggi andiamo a Stur-les-bains o a Tanaro Beach?” Ragazzini esotici. E quei tramonti rosso fuoco con il Monviso piantato proprio lì davanti e i caotici rientri domenicali dal mare con l’autostrada (adesso basta, torniamo lunedì sul presto!) Le generazioni dei nostri padri andavano a ballare al Diamant in una zona che non si è mai ben capito perché chiamata La conca d’oro, manco fossimo a Palermo, e noi invece al celeberrimo Macabre d’angolo fra piazza Carlo Alberto e i giardini della stazione. Quando il locale chiuse ci fu un pellegrinaggio che neppure a Santiago di Compostela. E due famosi miracoli di cui i braidesi vanno fieri, quello della Madonna dei Fiori con non uno ma ben due santuari che celebrano l’apparizione della Vergine nel dicembre del 1336 a una giovinetta insidiata da un gruppo di soldati spagnoli. La Madonna apparve e la marmaglia si dileguò. La bizzarra e inesplicabile stranezza botanica sta nel fatto che da allora sul luogo del Miracolo ogni dicembre i pruni selvatici fioriscono. Né la scienza né la Chiesa hanno mai saputo spiegare il perché. L’altro miracolo è che nel 1847 Carlo Alberto vietò la produzione delle salsicce bovine nel Regno, meno che a Bra per riguardo alla comunità ebraica. Così da allora Bra è l’unica città (pensiamo) al mondo dove si può, anzi si deve, mangiare la salciccia cruda».