Corriere Torino

«Nel mio paese a 5 anni dagli scavi il servizio non è ancora disponibil­e»

Bigotti è sindaco di Borgoratto e ad Bbbell

- Nicolò Fagone La Zita

Portare internet nelle aree bianche, quelle a fallimento di mercato, fino a creare un piccolo impero nel nord ovest, trasforman­do un problema in un’opportunit­à. È l’evoluzione della storia di Bbbell, azienda torinese di telecomuni­cazioni, nata vent’anni fa per rispondere all’esigenza di un territorio come il Nord Ovest italiano, colmando il divario digitale, e ora prima compagnia Tlc piemontese e uno dei maggiori player nazionali di un settore ad alta competitiv­ità. In totale conta 31 mila clienti (di cui 20 mila famiglie), un fatturato di 17 milioni di euro e una rete di circa 850 postazioni di proprietà con 7 mila chilometri di fibra. L’ad è Simone Bigotti, 44 anni, che copre anche la carica di sindaco di Borgoratto Alessandri­no, un comune con meno di 600 abitanti. Un profession­ista che conosce fin troppo bene le difficoltà dei piccoli borghi.

Bigotti, come si affronta il digital divide nelle piccole realtà della regione?

«Noi portiamo la banda ultra larga nei territori che non sono serviti da connettivi­tà veloce via cavo tramite la rete wireless. Se si vuole davvero superare il gap di alcune zone l’unica via è adottare una soluzione tecnologic­a che sia mista. Non solo la posa della fibra ottica, che comporta scavi lunghi e onerosi, ma anche il wireless, con connession­i fino a un giga di velocità. Solo così potremo ottenere risultati in tempi rapidi. In città con un cavo puoi servire migliaia di utenti, mentre nei territori extraurban­i a bassa densità abitativa si servono pochi clienti a fronte di lavori interminab­ili. La rete wireless al contrario ha costi accessibil­i, e attraverso le onde radio distribuis­ce il segnale con una sola installazi­one fino a 7 chilometri».

Come mai il piano a banda ultra larga si sta rivelando un fallimento?

«Non rispetta i tempi e ha bisogno di illimitate risorse economiche. Era scritto che non avrebbe funzionato. Non si può fare un progetto che si basa solo sulla posa della fibra ottica, con migliaia di chilometri di scavi per singole connession­i. E tanti piccoli borghi presentano caratteris­tiche che non si sposano con il progetto, perché si devono chiedere mille permessi e spesso si hanno problemi con i cavi».

La difficoltà è legata «solo» all’infrastrut­tura?

«No, anche quando la fibra è posata rimane complesso collegare le utenze. Il cavo spesso si ferma a 70 metri dall’abitazione, e quindi servono ulteriori lavori. E chi li paga? I cittadini non sono disposti a pagare 1.500 euro per attivare una connession­e».

Esiste anche un danno ambientale? «Scavare migliaia di chilometri è molto impattante da diversi punti di vista. A Borgoratto gli scavi sono iniziati nel 2019 e ci sono voluti 2 anni per ripristina­re l’asfalto, con diversi disguidi . E oggi, a distanza di 5 anni, il servizio non è disponibil­e. Con la posa la rete si ritiene collaudata, ma non è così. Manca l’ultimo miglio, il collegamen­to con gli utenti».

«Il cavo si ferma a 70 metri dalla casa, i cittadini non sono disposti a pagare altri 1.500 euro per il collegamen­to»

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