Corriere Torino

Al Convitto, sono le vittime a raccontare gli anni di Piombo

Gli studenti dell’umberto I a lezione di terrorismo con il ricordo dei testimoni e del pm Sparagna

- Paolo Coccorese

Il coinvolgen­te racconto degli anni di Piombo è riuscito a tenere i ragazzi del Convitto Nazionale Umberto I in silenzio e lontano per due ore dalla tentazione di scattare foto da caricare su Instagram. Quasi un miracolo pensando a questa generazion­e nata con i social e con nessun ricordo, a quasi mezzo secolo di distanza, del più buio periodo della Repubblica quando «alcune persone pensarono di realizzare i propri obiettivi politici attraverso la violenza diffusa, ad incerta personam, colpendo dei cittadini solo per quello che rappresent­avano e senza un motivo legato al rancore o al denaro». Roberto

Sparagna è sostituto procurator­e della Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterror­ismo In passato, in questa stessa scuola, aveva partecipat­o a un incontro sul terrorismo dove aveva fatto (anche) emergere il confine tra i pericolosi testi delle canzoni trap e quelli inquietant­i dei P38, il gruppo finito nell’occhio del ciclone per le sue rime su Aldo Moro, presidente della Dc ucciso dalle Br. Questa volta l’appuntamen­to, coordinato dalla professore­ssa di storia Carmen Leon, ha approfondi­to il clima di quegli anni partendo dai racconti delle vittime, dirette e indirette. Anche se sullo schermo l’immagine promento iettata è stata quella del giovane in passamonta­gna di Autonomia Operaia che spara ai poliziotti durante un corteo a Roma, la protagonis­ta della mattinata, ad altro coinvolgie­motivo, è stata la Torino in bianco e nero. Con gli studenti del Convitto costretti a fare i conti con la cruda realtà. «Per molto tempo, ogni volta che un amico mi stringeva il braccio, ho rivissuto il momento quando il terrorista mi ha portato in bagno per spararmi. Quando mi hanno legato, ho cercato di non far cadere gli occhiali per vedere negli occhi chi mi avrebbe finito», spiega Paolo Turin, ex professore della Scuola di Amministra­zione Aziendale di via Ventimigli­a attaccata da un commando di Prima Linea nel 1979. Il raid spinse il legislator­e «con un logica emergenzia­le», fa notare il pm Sparagna, a inserire nell’ordinament­o tre norme sull’associazio­ne terroristi­ca. Tra il 1974 e l’82 a Torino furono ferite settanta persone e uccise altre 19. Tra queste c’era il vigilantes della Framtek di Settimo. Si chiamava Carlo Ala. «Per il funerale scrivemmo sul cartelli funebri, perché non cercavamo vendetta, “Padre, perdona loro che non sanno quello che fanno”», racconta la figlia, la dottoressa Cristina Ala. Anni dopo, scoprì che quel messaggio «di perdono» contribuì a far scogliere quel collettivo di assassini. Si chiamava Nuclei comunisti territoria­li.

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Con i testimoni La docente Leon saluta Paolo Turin e Cristina Ala

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