L’arte contemporanea è sempre politica (o no?)
La memoria, il ruolo femminile, la migrazione e l’attivismo: quattro mostre alla Fondazione Sandretto Con il debutto di Diana Anselmo e il suo lavoro sull’«arte sorda»
La memoria e il privato, il ruolo femminile e il trauma della migrazione, l’impegno, anche politico, e l’attivismo per una causa, personale e collettiva. Ma anche il linguaggio (verbale e non) e le tecniche dell’espressione artistica, dalla pittura figurativa alla performance, passando attraverso il video e il confronto con il cinema e la sua storia, anche remota. Sono molti i temi che attraversano le quattro personali che si inaugurano oggi alla Fondazione Sandretto Re Rebaudendo. La giovane Diana Anselmo, che si definisce «performer e autore Sordo, attivista ed essere umano improvvisato», presenta la sua prima mostra personale,
Je Vous Aime (a cura di Bernardo Follini, fino al 13 ottobre), ispirata alla prima proiezione cronofotografica della storia, realizzata da Georges Demenÿ nel 1891 (quattro anni prima, quindi, della nascita ufficiale della settima arte, attribuita ai fratelli Lumière). «Si tratta di un supermegacortometraggio, durava meno di un secondo», spiega Anselmo. «Aveva l’obiettivo di “insegnare ai sordi”, a seguito dell’abolizione del linguaggio dei segni nelle scuole, deliberata nel 1880 sulla base di motivazioni filosofiche e religiose. Una decisione carica di conseguenze per la comunità sorda, a cui sono seguite nei decenni tecniche logopedistiche altamente intrusive, addirittura violente, attraverso strumenti di captazione e restituzione dei suoni per riprodurli in immagini». È quanto racconta l’opera in apertura della mostra, in cui con il linguaggio dei segni, unito a immagini che rimandano al più remoto passato della tecnica fotografica, Anselmo propone la frase «L’arte sorda è sempre politica», in cui «arte» può leggersi anche «rabbia». Seguono documenti storici, fotografie d’archivio e produzioni video con il «visual sign».
Un grande video è il protagonista di What the Owl
Knows (fino al 2 giugno, a cura di Irene Calderoni), del duo britannico The Otolith Group (composto da Kodwo Eshun e Anjalika Sagar), il cui nome fa riferimento, spiega Calderoni, «agli otoliti che, all’interno delle nostre orecchie, permettono il nostro equilibrio e quindi il nostro rapporto con il mondo esterno. E anche la nostra possibilità di adattarci a nuove condizioni e nuove realtà». Aprono la mostra le immagini di un gufo (owl ,in inglese), animale allegorico e metaforico per eccellenza, presente anche nelle opere della protagonista del filmato, la britannica di origini ghanesi Lynette Yiadom-boakye
(1977), artista visiva nonché poetessa: «Io dipingo ciò che non riesco a scrivere e scrivo ciò che non posso dipingere», ha dichiarato. Nel filmato, The Otolith Group non spiega l’attività poetica di Yiadom-boakye ma, sottolinea Calderoni, «ne adotta la prospettiva, ponendosi alle sue spalle, evidenziandone così la materia pittorica ma anche quella “sonora”, grazie a microfoni che, posti sul retro della tela, risuonano a ogni passaggio del pennello».
Dai mesi della pandemia la statunitense Danielle Mckinney (1981) ha avviato una pratica quotidiana con la pittura, applicata a soggetti molto specifici: donne nere che abitano spazi domestici, ritratte in momenti di riposo e rilassatezza. I soggetti della sua prima personale in Italia, intitolata Fly on the Wall (fino al 13 ottobre), non sentono addosso lo sguardo del pubblico ma neppure quello dell’artista stessa, che pare tenersi a rispettosa distanza, rimanendo però capace di indagare in profondità sentimenti e sensazione dei soggetti ritratti.
Nella mostra Isthmus (fino al 13 ottobre) l’iracheno Mohammed Sami (1984), emigrato in Europa, presenta lavori di grandissimo formato, dominati dal tema della «memoria episodica» ma che aspirano a liberarsi da un’eccessiva politicizzazione in relazione alla sua vicenda biografica, tra mondi diversi. Da cui l’«istmo» del titolo.
Nell’opera della giovane artista il linguaggio dei segni è unito a immagini che rimandano al più remoto passato della tecnica fotografica