Drappi rossi, canti, lapidi e altre riflessioni sul Sacro
Che cos’è il «sacro» oggi, a partire dalla sua stessa definizione, non necessariamente religiosa? Quale ruolo può rivestire nella vita privata e nella dimensione collettiva odierna? Fino al 16 giugno la Fondazione Merz suggerisce possibili interpretazioni nella mostra Sacro è ,acura di Giulia Turconi (alla sua prima mostra in uno spazio pubblico), che vede protagonisti 8 giovani artisti internazionali. Il progetto espositivo «trae origine dalla suggestione della raccolta di poesie Sacro Minore (Einaudi, 2023)», spiega, «in cui lo scrittore Franco Arminio ritrova la sacralità nella quotidianità, nell’alternanza tra vita e morte». Negli spazi della fondazione intitolata ai maestri dell’arte povera Mario e Marisa Merz (a cui è dedicato in mostra un omaggio, «anche nel senso del confronto intergenerazionale», sottolinea Turcato), si alternano i lavori dei diversi artisti in un allestimento di particolare efficacia, soprattutto nel primo ambiente. Si parte attraversando il drappo rosso dell’opera TUTTO (2018) di Matilde Cassani (Domodossola, 1980) e si prosegue con il performer Giuseppe Di Liberto (Palermo, 1996) che in Sparge
la morte riflette sulla morte e sui riti attraverso i canti madrigali barocchi. Nel secondo ambiente sono affiancati diversi
lavori. In Dì tutta la verità ma
dilla obliqua (2024) la vietnamita Quynh Lâm (Saigon, 1988) utilizza teli bianchi sporcati dalla terra e trattati come corpi, metafore per interrogarsi (e interrogarci) sul processo naturale della vita. In Uma Fonte (2023-24) Gianmarco Porru (Oristano, 1989) celebra il silenzio e la sacralità «in segreta estasi», come recita la grande scritta arancione a parete. In
Soupe primordiale (2022) Tiphaine Calmettes (Ivry-sur-seine, 1988) crea un ambiente accogliente e vissuto di grandi opere in argilla, evocando le forze latenti del nostro mondo. In un ambiente separato Lorenzo Montinaro (Taranto, 1997) crea una piccola cappella per riflettere sul tema della memoria, dell’assenza e del silenzio tra panche di legno combuste, lapidi in frammento e ceri recuperati in cimiteri. Nella saletta accanto Tommy Malekoff (Virginia, 1992) ambienta il video a due canali Desire Lines (2019) nello spazio «anonimo» di un parcheggio esaminandone le dinamiche ordinarie e straordinarie, ammantate della sacralità del quotidiano. È possibile un ritorno allo stadio della natura? A questa riflessione e al rapporto tra forme di vita e tecnologia (a partire dalla personale fobia dell’artista per le lumache), è dedicata la videoinstallazione Chimera dell’austriaca Lena Kuzmich (Vienna, 1998), realizzata in collaborazione con Exposed Torino Foto Festival.