«Tanto di cappello», teatro di strada al cinema
L’artista arriva in una piazza, poi fa «qualcosa» e le persone si fermano, si radunano, finché non formano il «cerchio»; lo spettacolo può iniziare. È il teatro di strada. Angelo D’agostino, filmmaker e produttore torinese, ha deciso di capirlo utilizzando la videocamera. Così è nato il film Tanto di cappello, con un lavoro avviato nel 2017, ora tra i finalisti di Panoramica Doc al 23esimo Glocal Film Festival, domani alle 18 al Massimo. L’opera di D’agostino, fondatore della torinese Lacumbia Film, attraversa l’italia per seguire le vicende di 5 artisti di strada: la lettrice vis à vis Chiara Trevisan, i circensi Circo Puntino (Andrea Castiglia e Elisa Zanlari), il percussionista urbano Domenico Ciano e il «gipsy marionettist» Rašid Nikolic. «Il film è nato quando ho rivisto Rašid, che conosco da 15 anni, e mi ha raccontato la sua storia. Lui è serbo-bosniaco di etnia rom, parla diverse lingue tra cui il russo e per questo ha potuto frequentare la scuola di marionette di Odessa, in Ucraina (prima del 2014, ndr)».
Il film indaga regole, luoghi, emozioni e lavoro dietro a questo mondo. «Piazza Castello, a Torino, è famosa per gli artisti di strada — dice D’agostino — perché si riesce a fare cerchio. C’è un pre-spettacolo, l’inizio, i numeri, la chiamata di qualcuno dal pubblico, la presentazione e l’esecuzione del numero finale, quindi il passaggio del cappello». Nel quale si lascia l’offerta. «Da Torino siamo arrivati a Tropea, dove fare “strada libera”, poi ad Amaroni per il festival Rughe d’artista e al festival Mojoca di Moio della Civitella, nel Cilento». Prima con Nikolic, poi con il Circo Puntino e quindi con Ciano, D’agostino si è spostato in treno, bus e camper. L’ultima è stata Trevisan, che pedala carica di libri per allestire un salottino e leggere a un singolo spettatore per volta. «Spesso ti chiedi come nascano le cose straordinarie che fanno: sono liberi professionisti, devono cercare clienti e pubblico, partecipano a bandi e festival. Il film vuole approfondire questo aspetto. Gli artisti fanno fatica ad aprirsi per via di tanti racconti fatti male, spesso incentrati sulla pietà, qui mostriamo bellezza e difficoltà del loro lavoro. È una restituzione».