Arriva The World’s 50 Best Restaurants E Torino torna capitale
Nel giugno 2025 una sfida non solo nostra, ma italiana Chiavarino «Sicurezza e socialità nei negozi»
Torino capitale mondiale della gastronomia. Questa volta non è esagerato. Questa volta è vero: mercoledì il presidente della Regione Alberto Cirio l’ha ufficializzato durante la presentazione dei dati del turismo in Piemonte, «stiamo completando le operazioni per organizzare nel 2025 i The World’s 50 Best Restaurants a Torino. L’evento rappresenterà un momento fondamentale per la valorizzazione della gastronomia e della grande cucina territoriale e di tutto il nostro sistema gastronomico».
Annuncio tanto benvenuto quanto irrituale, normalmente la sede di ogni edizione viene dichiarata solo dopo lo svolgimento della precedente, che in questo 2024 si terrà a giugno a Las Vegas. Ma bene ha fatto Cirio, che ha detto di essere stato autorizzato dagli organizzatori: la voce tra gli addetti ai lavori era diffusa, per dirla con un’espressione nazionale era un «segreto di Pulcinella» (e poi, diamine, siamo in campagna elettorale). Dal 2002 50 Best, la mega-classifica e l’annesso mega-evento organizzati dalla società inglese Williamreed, è considerata l’olimpiade dei ristoranti, il Mondiale dei cuochi (assai più smart del concorso Bocude d’or, che approdò in Piemonte senza troppo successo). 50 Best ha fatto grandi i grandissimi da Ferran Adrià a René Redzepi, che l’hanno vinta più volte.
L’idea che potesse sbarcare a Torino, per la prima volta in Italia, ha preso davvero forma due anni fa, a settembre 2022 l’allora AD di ENIT, Roberta Garibaldi, aveva pubblicamente dichiarato che ci si stava lavorando; l’anno scorso, durante la cerimonia a Valencia, le trattative erano proseguite (non senza stop-andgo), contando anche su uno sponsor d’eccezione, Massimo Bottura, vincitore del premio nel 2016 e poi di nuovo nel 2018 (ora il regolamento è cambiato: chi vince esce dal ranking, avanti il prossimo). In poco più di vent’anni 50 Best è stata capace di diventare uno dei maggiori vettori della gastronomia, meno rigorosa ma più contemporanea della guida Michelin: il migliaio di «voters» in giro per il mondo può segnalare i propri locali preferiti, questo porta in classifica indirizzi da ogni dove, da New York a San Paolo, da Bangkok a Tokyo, da Bogotà a Lima (il campione in carica è il peruviano Virgilio Martinez, che a ottobre ha cucinato a Torino per Buonissima). I cuochi di tutte queste città nel giugno 2025 online convergeranno a Torino.
Prima volta in Italia, si diceva: colpo grosso. Doppiamente grosso per il capoluogo, considerato che la città piemontese più famosa al mondo per cibi e vini è Alba – dove peraltro c’è il ristorante Piazza Duomo della famiglia Ceretto, condotto da Enrico Crippa (oggi 42o nella lista) – ma questa volta la politica, le Langhe e le imprese (i Ceretto sono stati grandi sostenitori dell’operazione) sono riuscite a far squadra per Torino (complice il fatto che Williamreed vuole che le cerimonie non si svolgano in piccoli centri). La notizia è musica per le orecchie di chi ama la gastronomia in Italia, ma il più è da fare: c’è da organizzare l’evento, c’è da comunicare, c’è da arrivare pronti per mostrare a cuochi, gastronomi, giornalisti e appassionati di tutto il mondo la migliore versione di Torino. E soprattutto bisogna capire che non è una sfida piemontese, ma italiana: dai tempi del Lider Maximo (Bottura) il Buon Paese ha fatto fatica a raggiungere posizioni apicali – oggi Lido 84 a Gardone Riviera è 7o, il Reale a Castel di Sangro 16o, Uliassi a Senigallia 34o, Le Calandre 41o, Piazza Duomo, come detto, 42o – e la consapevolezza di ospitare la manifestazione con tanto, insperato, anticipo è un grande possibilità per darsi da fare. Ma oggi, almeno oggi, ci si può fermare per brindare: in tempi di globalizzazione è un miracolo che un appuntamento così glamour non sia volato verso Riad o Singapore ma abbia scelto il Piemonte, che certo avrà investito, ma nulla in confronto a quello che avrebbero potuto fare gli emiri: questo significa che i valori gastronomici della vecchia Europa – il vino, le colline, il saper fare, il tartufo, la storia, la reputazione, gli agnolotti – ancora hanno una loro forza. Oggi c’è da brindare alla 50 Best. Da domani si (ri)comincia a lavorare.
L’amministrazione vuole provare a voltare pagina rispetto alle chiusure di attività con decenni sulle spalle. Lo strumento istituito per raggiungere questo obiettivo è l’albo per salvaguardare le imprese storiche della città. L’assessore al Commercio Paolo Chiavarino lo riassume così: «Lo scenario parte dal fatto che l’avvento della grande distribuzione e dell’e-commerce ha massacrato l’economia di prossimità. A questo di aggiungono le difficoltà legate al Covid, agli eventi bellici e al crollo della natalità. Diventa centrale creare un senso di comunità attorno al negozio di vicinato e lo facciamo con questo strumento». Palazzo Civico interverrà anche sul cambio di destinazione d’uso dei negozi sfitti: «Non va bene che un negozio diventi
garage o abitazione – continua Chiavarino –: andiamo a togliere un presidio di sicurezza. Questa iniziativa verrà recepita nel nuovo piano regolatore e permetterà di evitare l’uso distorto del cambio di destinazione d’uso». Rispetto ai fondi per le imprese che faranno parte dell’albo, il contributo più rilevante riguarderà i 3,5 milioni di euro di oneri aggiuntivi provenienti dalle Gdo in arrivo nei prossimi anni. Ma in questo ragionamento potrebbe rientrare anche il milione di euro del bando Barrieraaurora e i fondi dei Distretti urbani del commercio. Ci sarà poi anche una campagna pubblicitaria per valorizzare queste attività. L’albo sarà articolato in tre categorie: valore storico e culturale, di tradizione e innovativo e di eccellenza. Per il sindaco Lo Russo, «i negozi di vicinato svolgono una funzione importantissima non soltanto dal punto di vista commerciale, ma come presidio ed elemento di aggregazione. Con la loro storia rappresentano inoltre una peculiarità della nostra città anche per chi viene da fuori». Rimane al palo il tema del controllo delle licenze. La presidente di Ascom Maria Luisa Coppa ne ha richiamato la necessità per «evitare la prolificazione non controllata di punti di difficile controllo come ad esempio i minimarket. È una richiesta che le imprese ci fanno spesso, ma è un tema sempre latente».