Regina Margherita, le nonne volontarie seguono i bambini e aiutano i genitori
Per un piccolo problema, fortunatamente risoltosi nel migliore dei modi, ho trascorso alcuni giorni all’interno di un reparto dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Vi racconto ciò che ho visto.
L’ospedale torinese è un complesso ecosistema popolato non solo dal personale sanitario ma anche da una serie di figure preziose che si aggirano alacremente tra le corsie.
Con i suoi disegni alle pareti e i colori pastello, il Regina Margherita ricorda una sorta di bosco vivente che inizia ad animarsi sin dalle prime luci dell’alba. Come abbiamo detto, oltre a medici e infermieri, una serie di persone rendono vivo e allegro un luogo che per sua natura è associato alla sofferenza.
Al mattino, tra le prime a bussare alle porte delle stanze sono le «nonne volontarie». Sono delle gentili signore in pensione che, con le loro casacche colorate, portano un po’ di spensieratezza e conforto ai piccoli ricoverati e ai loro genitori. Genitore e bambino condividono giorno e notte la stessa stanza e così le cordiali signore chiedono per prima cosa: «mamma, papà vuoi andare a prendere un caffè?». Una di loro ha 72 anni e mi ha raccontato di svolgere questa attività da diverso tempo. Mi ha confessato che, quando inizi, non puoi più fare a meno di continuare a venire.
Con alcuni dei bambini, che hanno avuto ricoveri lunghi, la nonna volontaria ha instaurato un rapporto di amicizia e così qualcuno continua a telefonarle anche negli anni a venire.
C’è chi le racconta di aver preso la patente o chi, con orgoglio, di essere diventato un disc jockey.
La mattina è un continuo viavai. Salutate le nonne a presentarsi alla porta sono i cani della pet therapy, un primario affacciatosi dice sorridendo che sono più efficaci degli antibiotici. E poi arrivano le insegnanti delle varie materie che tengono lezione nelle stanze. Nel complesso l’impressione che ho avuto, durante la mia breve permanenza, è quella di una struttura ben organizzata, con medici e personale infermieristico gentili e competenti. Il problema è il pronto soccorso, eccessivamente affollato. Ci sono attese di più di cinque ore per la prima visita in una sala piccola, gremita di bambini stanchi, sofferenti e febbricitanti.
È probabile che molti, a causa della comprensibile ansia dei genitori, si rechino al pronto soccorso anche per questioni non urgenti. E poi, come è stato scritto in queste pagine, a Torino ci sono pochi pediatri. Ma non è solo un problema quantitativo. Ascoltando i racconti dei genitori in sala d’attesa si ha l’impressione che si sia incrinato quello storico legame di fiducia che ha sempre legato i pazienti ai medici di famiglia.
Si sentono storie di pediatri distratti, poco raggiungibili o che inviano diagnosi tramite Whatsapp. Un tempo trovavi il pediatra con la sua borsa alla porta di casa. Era venuto a visitare il bambino e portava con sé non solo una cura ma anche parole di vicinanza e di rassicurazione.
Esattamente come fanno le nonne volontarie del Regina Margherita.