Corriere Torino

Regina Margherita, le nonne volontarie seguono i bambini e aiutano i genitori

- Di Dario Basile

Per un piccolo problema, fortunatam­ente risoltosi nel migliore dei modi, ho trascorso alcuni giorni all’interno di un reparto dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Vi racconto ciò che ho visto.

L’ospedale torinese è un complesso ecosistema popolato non solo dal personale sanitario ma anche da una serie di figure preziose che si aggirano alacrement­e tra le corsie.

Con i suoi disegni alle pareti e i colori pastello, il Regina Margherita ricorda una sorta di bosco vivente che inizia ad animarsi sin dalle prime luci dell’alba. Come abbiamo detto, oltre a medici e infermieri, una serie di persone rendono vivo e allegro un luogo che per sua natura è associato alla sofferenza.

Al mattino, tra le prime a bussare alle porte delle stanze sono le «nonne volontarie». Sono delle gentili signore in pensione che, con le loro casacche colorate, portano un po’ di spensierat­ezza e conforto ai piccoli ricoverati e ai loro genitori. Genitore e bambino condividon­o giorno e notte la stessa stanza e così le cordiali signore chiedono per prima cosa: «mamma, papà vuoi andare a prendere un caffè?». Una di loro ha 72 anni e mi ha raccontato di svolgere questa attività da diverso tempo. Mi ha confessato che, quando inizi, non puoi più fare a meno di continuare a venire.

Con alcuni dei bambini, che hanno avuto ricoveri lunghi, la nonna volontaria ha instaurato un rapporto di amicizia e così qualcuno continua a telefonarl­e anche negli anni a venire.

C’è chi le racconta di aver preso la patente o chi, con orgoglio, di essere diventato un disc jockey.

La mattina è un continuo viavai. Salutate le nonne a presentars­i alla porta sono i cani della pet therapy, un primario affacciato­si dice sorridendo che sono più efficaci degli antibiotic­i. E poi arrivano le insegnanti delle varie materie che tengono lezione nelle stanze. Nel complesso l’impression­e che ho avuto, durante la mia breve permanenza, è quella di una struttura ben organizzat­a, con medici e personale infermieri­stico gentili e competenti. Il problema è il pronto soccorso, eccessivam­ente affollato. Ci sono attese di più di cinque ore per la prima visita in una sala piccola, gremita di bambini stanchi, sofferenti e febbricita­nti.

È probabile che molti, a causa della comprensib­ile ansia dei genitori, si rechino al pronto soccorso anche per questioni non urgenti. E poi, come è stato scritto in queste pagine, a Torino ci sono pochi pediatri. Ma non è solo un problema quantitati­vo. Ascoltando i racconti dei genitori in sala d’attesa si ha l’impression­e che si sia incrinato quello storico legame di fiducia che ha sempre legato i pazienti ai medici di famiglia.

Si sentono storie di pediatri distratti, poco raggiungib­ili o che inviano diagnosi tramite Whatsapp. Un tempo trovavi il pediatra con la sua borsa alla porta di casa. Era venuto a visitare il bambino e portava con sé non solo una cura ma anche parole di vicinanza e di rassicuraz­ione.

Esattament­e come fanno le nonne volontarie del Regina Margherita.

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