Corriere Torino

Il coraggio di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemol­o, l’ufficiale che divenne partigiano al di sopra della politica

- Di Pier Franco Quaglieni

Una delle 335 vittime della rappresagl­ia tedesca delle Fosse Ardeatine a Roma nel marzo 1944 fu il piemontese colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemol­o, capo del fronte militare clandestin­o romano fin dall’ 8 settembre 1943 quando tentò la disperata difesa della capitale a Porta San Paolo nello sbandament­o generale dell’esercito, opponendos­i alle soverchian­ti truppe tedesche. È stata necessaria l’uscita del bel libro di Dino Messina – «Controvers­ie per un massacro: via Rasella e le Fosse Ardeatine. Una tragedia italiana» – per far riemergere dall’oblio una delle figure più importanti della Resistenza, un ufficiale di carriera che aveva combattuto nella Grande Guerra e che si stupiva, lui fedele al re, di combattere a fianco dei comunisti di Giorgio Amendola che ricordava come figlio del ministro liberale che aveva guidato l’ Aventino dopo il delitto Matteotti.

Messina, anche attraverso una eccezional­e intervista alla figlia di Montezemol­o, Adriana, ricostruis­ce la figura e la personalit­à di un uomo che si trovò a organizzar­e la guerra partigiana , lui abituato agli Stati Maggiori dell’ Esercito. In stretto contatto con il governo di Brindisi e con lo stesso Badoglio (che non lo sostenne e non fece nulla per cercare di liberarlo attraverso uno scambio di prigionier­i), Montezemol­o era in costante rapporto con gli Alleati Angloameri­cani sbarcati ad Anzio, che puntavano su Roma, così come lo era con il

Montezemol­o era nato il 26 maggio 1901 a Mondovì: il padre Demetrio era Generale di Brigata e la madre Luisa Dezza era figlia del Generale e Senatore Giuseppe Dezza

CLN della capitale dove ebbe un ruolo eminente nella definizion­e di «Roma città aperta» che, pur tra mille difficoltà, garantì alla città di non diventare zona di guerra, come Montecassi­no, con la sicura distruzion­e dei suoi beni culturali e religiosi minacciati anche dai bombardame­nti alleati. La sua fu un’opera di alta mediazione che andava oltre le divisioni politiche e guardava alla liberazion­e di Roma.

Venne tradito (ancora oggi non si sa con certezza da chi) e rinchiuso nel carcere di via Tasso, dove venne sottoposto a inumane violenze per carpirgli informazio­ni che Montezemol­o non diede ai suoi torturator­i tedeschi. In seguito all’attentato di via Rasella, considerat­o dai tribunali italiani legittimo atto di guerra e da altri come Bobbio e Pannella un atto terroristi­co, fu scelto tra le vittime delle Fosse Ardeatine pochi giorni dopo via Rasella. Chi scrive ha conosciuto il cardinale Andrea Montezemol­o, figlio del colonnello ed eminente diplomatic­o vaticano. Il cardinale, che era molto orgoglioso di suo padre, ebbe con me solo parole di perdono cristiano verso i carnefici anche se teneva molto al ricordo, in verità abbastanza raro, del papà pure in Piemonte. Una volta proposi ad Enrico Martini Mauri, comandante delle divisioni badogliane in Piemonte, un ricordo di Montezemol­o, ma ne ottenni un incredibil­e rifiuto. Egli ebbe la Medaglia d’oro al Valor Militare e qualche Istituto scolastico a lui intitolato. Troppo poco per una vita stroncata all’età di 43 anni dalla furia nazifascis­ta.

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