Corriere Torino

I favolosi anni Cinquanta nella Torino Informale

La mostra al Museo Accorsi accende un faro su un periodo d’oro per la città capitale dell’arte contempora­nea Accanto a opere di Pinot Gallizio e Carol Rama, anche Fontana, Burri e Hartung

- Spaziale, forma Sacco rosso e nero Alessandro Martini Maurizio Francescon­i

«Abbiamo scelto di utilizzare come immagine guida il Senza titolo del 1961 di Pinot Gallizio che apre la mostra perché il 2024 è l’anniversar­io dei 60 anni dalla sua morte, ma anche perché il grande artista albese rappresent­a il primo caso di artista che oggi definiremm­o “glocal”. Locale e globale insieme», racconta Francesco Poli,

curatore della mostra Torino Anni ‘50. La grande stagione

dell’informale (da domani fino al 1° settembre) al Museo di Arti Decorative Accorsi Ometto. Si tratta del coinvolgen­te racconto dell’avvio del «periodo d’oro» di Torino come capitale dell’arte contempora­nea, che si sviluppa proprio in questo decennio per poi confermare il suo primato in quelli successivi con la stagione dell’arte povera, e oltre. La mostra racconta da un lato la realtà artistica locale e dall’altro, spiega Poli, «propone un percorso attraverso gli artisti internazio­nali e le grandi mostre torinesi tra cui quelle curate da Michel Tapié. È lui a inventare l’etichetta di “Informale” e a fondare a Torino l’internatio­nal Center of Aesthetic Research, con artisti del calibro di Asger Jorn e Karel Appel». È il decennio dell’inaugurazi­one della nuova Gam (1959), diretta da Vittorio Viale, delle 7 rassegne Italia-francia curate da Luigi Carluccio (1951-61), e di grandi mostre come Incontro a Torino. Pittori d’america, d’europa e del Giappone alla Promotrice delle Belle Arti (1962) e, soprattutt­o, Arte Nuova al Circolo degli Artisti (1959), che definisce il culmine della stagione d’oro dell’informale. Quest’ultima mostra è curata da Tapié insieme ad Angelo Dragone e a Luciano Pistoi, fondatore della galleria Notizie, uno dei centri propulsivi della realtà artistica torinese insieme alla galleria La Bussola. Sono gli anni nei quali a Torino espongono protagonis­ti assoluti come Jackson Pollock, Willem De Kooning, Franz Kline, Antoni Tapiés, Alberto Burri, Emilio Vedova, Lucio Fontana o il gruppo Gutai e nel quale svariate gallerie private svolgono un ruolo cruciale nel sostenere gli artisti. «Sono queste gallerie a creare le condizioni per un collezioni­smo cittadino molto colto», aggiunge ancora Poli. Tra le opere (quasi tutte provenient­i da collezioni private) fanno bella mostra di sé, nell’illuminazi­one puntuale e di grande effetto della prima sala, Anima Mundi di Albino Galvano (1952), Fiaba di Mario Davico (1956), due opere della prima fase di Carol Rama dal titolo

Parigi (1955) e Fiume (1952), che ben definiscon­o il periodo che viene definito dell’astrattism­o Geometrico.

Nella stessa sala anche la scultura di Mario Giansone La

donna della domenica (195657) che condivide il titolo con il celebre romanzo del duo (torinese) Fruttero & Lucentini. Impossibil­e una scelta migliore. Il bronzo Cassandra di Sandro Cherchi (1955) conduce verso la sala successiva dove troneggia la grande tela Colori nell’orto di Enrico Paulucci vicino a un’opera di Piero Ruggeri del 1962 dal titolo La

collina della Barasetta eadue tele del talentuoso (e trascurato) Sergio Saroni: I due

mandorli in fiore (1955-56) e Paesaggio appenninic­o

(1961). È nelle sale successive che diminuisce numericame­nte la produzione piemontese per fare spazio ai grandi nomi italiani e stranieri del periodo. Dal grande Concetto

L’allestimen­to Alcune opere esposte nelle sale di via Po della Fondazione Accorsi Ometto nella mostra a cura di Francesco Poli

(1957) di Lucio Fontana al

(1955) di Alberto Burri, fino all’ultima sala con tre opere di Pinot Gallizio affiancate (tra le altre) dal Senza titolo di Hans Hartung, da Kerlaz di Georges Mathieu e da

Coral branch n.8 di Sam Francis (successivo, del 1973). Qui anche le due opere forse più uniche e rare dell’intera mostra: i Senza titolo di Toshimitsu Imaï (1958) e di Shigeru Onishi (1959), rappresent­anti del gruppo Gutai. Tra i suoi molti meriti, la mostra curata da Francesco Poli ci ricorda quali sono le radici — storiche ma solide — di Torino «capitale dell’arte contempora­nea».

Abbiamo scelto come immagine guida l’opera di Pinot Gallizio perché nel 2024 si celebrano i 60 anni dalla morte E perché è un artista che oggi definiremm­o “glocal” F. Poli

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