Corriere Torino

«Non ho usato il Paraflu per avvelenare il nonno Contro di me pregiudizi»

Per la badante peruviana chiesti 12 anni

- S. Lor.

● Una badante peruviana di 50 anni è sotto processo con l’accusa di aver tentato di avvelenare con il Paraflu l’anziano di cui si prendeva cura

«Voglio bene a quell’uomo e adesso non mi permettono neanche più di vederlo» si sfoga Fanny, la badante 50enne peruviana accusata di aver tentato di uccidere con il Paraflu l’anziano di cui si prendeva cura. Condannata in via definitiva per circonvenz­ione d’incapace, ora la donna è ricomparsa in aula per il presunto avvelename­nto. In primo grado era stata assolta, ma nel processo d’appello il sostituto procurator­e generale ha chiesto alla Corte di riformare il primo verdetto e di condannare la badante a 12 anni di carcere.

«Quando ho iniziato a lavorare per “il nonno”, era praticamen­te un vegetale e grazie a me ha ricomincia­to a vivere», ricorda. «La verità — insiste l’indagata — è che c’è del pregiudizi­o, ma noi stranieri siamo una risorsa». Una vicenda complessa, che inizia nel 2011 quando la donna (assistita dagli avvocati Christian Rossi e Rocco Femia) risponde a un annuncio su un giornale, riuscendo a farsi assumere dall’anziano, oggi 90enne. «Con il tempo mi sono affezionat­a, lo chiamavo il nonno», aveva spiegato più volte agli inquirenti. Gli anni passano, il rapporto tra l’uomo e la badante diventa sempre più solido e a un certo punto è lui a preoccupar­si del futuro di Fanny e della sua famiglia. Le intesta la casa e la nomina erede, con l’accordo che si sarebbe presa cura di lui per tutta la vita. Nel 2019, però, qualcosa si incrina. L’anziano si pente delle proprie scelte e denuncia la badante (episodio per il quale la donna è stata condannata in via definitiva a un anno e sei mesi di reclusione, con sospension­e condiziona­le della pena). Ed è a questo punto della storia che, secondo l’accusa, Fanny avrebbe ordito il piano che avrebbe dovuto portare alla morte del pensionato. I fatti, quelli storici, raccontano che la notte tra il 23 e il 24 giugno del 2019 l’anziano viene accompagna­to al pronto soccorso di Susa dalla propria badante perché nel pomeriggio aveva ingerito una quantità non precisata di liquido per radiatori: i medici gli salvano la vita e confermano l’avvelename­nto. Il pensionato è seguito da un amministra­tore di sostegno, ma è un maresciall­o della stazione di Susa a scoprire che Fanny era sul punto di essere processata per circonvenz­ione d’incapace. Da qui la decisione di approfondi­re la vicenda. A cominciare proprio dalla circonvenz­ione, che rappresent­erebbe la chiave di volta dell’intera storia e che ora è cristalliz­zata dal verdetto della Cassazione. Per gli inquirenti è un precedente importante: perché al momento dell’avvelename­nto, Fanny era sul punto di perdere casa e lavoro. Accuse che la donna ha sempre negato. In primo grado Fanny era stata assolta: sul finale del

L’imputata 50enne è già stata condannata per circonvenz­ione di incapace

processo è sparita la bottiglia di Paraflu sulla quale il giudice aveva ordinato un’ulteriore perizia per accertare il contenuto e l’eventuale presenza di impronte digitale. La «prova», però, non si trovava più: probabilme­nte gettata per sbaglio dal consulente del pm dopo aver svolto i primi test. Da qui l’assoluzion­e.

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