La città saluta Angelino, lo chef amato dalla Juve «Lo immagino con Vialli»
Il figlio Mauro e Tacchinardi tra ricordi, cene e coppe
«Papà era un pezzo di storia di Torino. L’ultima grandissima Juve era di casa nel nostro ristorante». La voce, rotta dalla commozione, è quella di Mauro Falvo. Suo padre, Angelino, punto di riferimento della ristorazione sabauda, è scomparso ieri, a 80 anni (i funerali si terranno sabato, alle 9.30, alla chiesa Sant’agnese). «Mia mamma Margherita è mancata lo scorso novembre e lui si è lasciato andare. Non stava bene da un po’, aveva avuto anche un ictus. Ma non smetteva mai di parlare della sua Juve».
Già perché il ristorante che portava il suo nome, «Angelino» di corso Moncalieri 59, aperto nel 1978, era un punto di incontro di molti voti noti della Torino che conta e non solo. A partire dai protagonisti dell’epopea bianconera targata Trapattoni e poi Lippi: le loro foto, gli articoli delle loro imprese, addobbano le pareti del locale. «Che io sappia, non esiste più un ristorante del genere – prosegue Mauro, ieri raggiunto da suo fratello Roberto che si è trasferito in Francia –. Oggi i bianconeri vanno un po’ ovunque, un tempo venivano tutti esclusivamente da noi. Ma non c’è nemmeno più una squadra del genere. Papà diceva che la Juve, questa Juve, non lo faceva più godere».
Angelino è un luogo della memoria bianconera, il posto del cuore del compianto Vialli: «Gianluca veniva quasi tutti i giorni. Era molto attento all’alimentazione: pasta al pomodoro, filetto o branzino con insalata e macedonia. Solo dopo le partite si concedeva qualche piccolo premio enogastronomico. Uno non proprio da bresaola e rucola era invece Peruzzi, che adorava i nostri porcini fritti».
La notizia della morte di Angelino Falvo ha scosso anche l’ex centrocampista bianconero Alessio Tacchinardi, altro habitué: «Ho ricordi bellissimi, sembrava di essere a casa, Angelino era una persona adorabile, una specie di papà per tutti noi. Ci diceva: “mangiate tutto che poi dovete correre!”. Vialli era sempre lì: lo immagino lassù, in cielo, ora in compagnia del suo chef preferito».
Tra gli aficionados c’erano anche Del Piero e Trezeguet. Fra una pietanza e l’altra giocavano a calciobalilla, nel retro. Oppure si improvvisavano cuochi, con tanto di divisa e cappello: «Ricordo Zidane, Tacchinardi e Ferrara: se oggi avessi una brigata così, quanto pagherei di stipendi?», scherza Mauro Falvo.
Una volta il presidente Boniperti si presentò con la Coppa Uefa del 1990. Un’altra Zidane, che da Angelino non chiamavano Zizou ma Zuzzù, portò al ristorante (che nel menu ha i rigatoni alla Zidane) la Coppa Campioni del 1996: «Un giornoa papà chiese a Zizou la maglia di Cristiano Ronaldo: arrivò dopo 48 ore, con tanto di autografo e dedica». Un’altra volta lo stesso Zuzzù spedì in corso Moncalieri il patron del Real Madrid in persona, Florentino Perez.
Un’altra ancora arrivò addirittura Diego Armando Maradona, che si fece immortalare con il pallone in equilibrio sulla testa.
«Pessotto è venuto recentemente con tutta la Primavera bianconera – prosegue Mauro, che porta avanti il ristorante di famiglia –. C’erano anche anche Ciccio Grabbi e Paolo Montero, che poco tempo fa ha girato da noi le scene di un documentario insieme allo stesso Pessotto, Iuliano e Ferrara. Ma qui è venuto anche l’attore Scamarcio per alcuni ciak del suo ultimo film Race for Glory». Da «Angelino» i ricordi e gli aneddoti arrivano uno dopo l’altro, in sequenza, come i loro antipasti piemontesi.
Il figlio L’ultima grandissima Juve era di casa nel nostro ristorante Qui Zidane era Zuzzù Gli mandò lui la maglia di Ronaldo
Tacchinardi Era una persona adorabile, una specie di papà per tutti noi Ci diceva: “mangiate tutto che poi dovete correre”