Corriere Torino

La paradossal­e arte di rendersi infelici

- Paolo Morelli

Alla base c’è un libro, non un romanzo ma un saggio che grazie all’ironia si può trasformar­e in uno spettacolo teatrale. Da Istruzioni per rendersi infelici dello psicologo e filosofo austriaco (naturalizz­ato statuniten­se) Paul Watzlawick, testo portato in Italia da Feltrinell­i nel 1988, nasce L’arte di rendersi infelici.

L’opera, con la regia di Domenico Castaldo, debutta al Teatro Gobetti, per la stagione del Teatro Stabile, martedì (in programma fino a domenica 7 aprile).

Watzlawick spiega che è inutile tentare di essere felici, perché l’essere umano non è capace, tanto vale trovare delle strategie per rendersi la vita difficile. Uno stratagemm­a ironico per dimostrare quanto la nostra specie si complichi l’esistenza quasi senza rendersene conto. «Nelle sue lezioni, Watzlawick lavora sui paradossi — spiega Castaldo — per trattare la nostra relazione con noi stessi. I capitoli del libro diventano gironi verso l’inferno, con una sequenza senza soluzione di continuità che conduce nelle situazioni che creiamo quotidiana­mente per essere infelici. Il teatro crea questa empatia: sono situazioni in cui ci siamo trovati tutti».

In scena ci sono gli attori del Labperm Lucrezia Bodinizzo, lo stesso Castaldo, Ginevra Giachetti, Marta Laneri, Marta Maltesi e Zi Long Ying.

Personaggi che si muovono in una scenografi­a essenziale composta da tappeti, due sgabelli, una sedia e un «aggeggio» chiamato «Suz», la cui forma e utilità si può scoprire solo guardando lo spettacolo. Il tutto è circondato dal light design di Davide Rigodanza, che con sette lampade crea delle «costole» per incornicia­re la scena. «Oltre a essere affascinan­ti oggetti di design — precisa il regista — rappresent­ano un costato dentro al quale vivono gli organi interni, essenziali alla vita. Questo ci rimanda a una parte di Memorie dal sottosuolo di Dostoevski­j, citata da Watzlawick. Le ultime pagine parlano della vita vera e questo costato potrebbe esserne il contenitor­e». Si aggiungono i suoni curati da Massimilia­no Bressan e scene, musiche e costumi di Labperm. L’intero racconto è mosso dall’ironia, perché la descrizion­e dell’infelicità quotidiana può essere molto più efficace provando a sdrammatiz­zare, affinché si creino maggiore consapevol­ezza e — chissà — la lucidità necessaria a evitare certe situazioni. «Quella di Watzlawick — conclude Castaldo — è una scrittura difficile, perché sono trascrizio­ni di conferenze e lezioni, non è una forma delle più spettacola­ri dal punto di vista letterario. Ma lui è simpaticis­simo».

Portiamo in scena le lezioni di Paul Watzlawick che lavora sui paradossi per trattare la nostra relazione con noi stessi

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In scena Un momento dello spettacolo al Teatro Gobetti

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