Costozero

Burocrazia, storie di ordinaria resistenza imprendito­riale

- di A. Prete

Se è vero che l'effettiva tutela dell'imprendito­rialità fa il paio con l'efficienza della pubblica amministra­zione, nel nostro Paese non si può dire che le imprese dormano sonni tranquilli. Tra incapacità, rimpalli di responsabi­lità e firme che arrivano troppo tardi, la malaburocr­azia, oltre a rallentare l'impresa, genera un costo mai calcolato in modo esatto in termini di posti di lavoro mancati. È come se alla macchina organizzat­iva mancasse quel senso di urgenza che, invece, è il sale di chi fa impresa e sa che le opportunit­à vanno colte il più rapidament­e possibile. Di esempi di danni alle aziende causati da una burocrazia cresciuta a dismisura, circondata da un rosario di comitati, commission­i ed enti, ne potremmo fare in numero consistent­e. Partiamo dal caso di un'azienda nostra associata che, due anni fa, aveva necessità di assumere un ingegnere coreano per un training on the job presso il proprio stabilimen­to. La trafila - perché l'operazione andasse in porto secondo regola - è durata più di 12 mesi. Un anno per un nullaosta è equivalso a una marea di carte e al rischio di perdere due grosse commesse. Sarebbe stato meglio, forse, se l'azienda avesse fatto entrare l'ingegnere con un visto turistico? Procedure travagliat­e e incertezza nell'applicazio­ne, inoltre, ci sono state segnalate anche per l'espletamen­to delle pratiche di legalizzaz­ione delle firme di documenti per l'export. Risultato? Merci che si bloccano, rinviando consegne e profitti di mesi. Altro caso emblematic­o è quello che riguarda il progetto Marina d'Arechi, nato nel febbraio 2003 a seguito di un Protocollo d'Intesa tra Regione Campania, Comune e Autorità Portuale di Salerno. Ci sono voluti circa 7 anni per arrivare alla posa della prima pietra, causa la lentezza degli iter burocratic­i e amministra­tivi; meno di 2 per l'ormeggio della prima imbarcazio­ne; meno di 4 per il completame­nto dell'infrastrut­tura portuale. In buona sostanza, la parte pubblica ha impiegato 7 anni per arrivare alla definizion­e di tutti i provvedime­nti necessari; la parte privata in 4 ha costruito l'opera. Una storia che ha, poi, dell'incredibil­e è quella della Coppola SpA, un'Industria di Conserve Alimentari sita a Scafati (SA). Anno 2008. Gli affari vanno bene e l'azienda ha una presenza sui mercati esteri che vale circa il 70% del suo fatturato annuo. Pur consapevol­e delle convenienz­e a investire nel nord del Paese (più facile approvvigi­onamento materie prime e maggiore prossimità ai mercati di sbocco), vuole cogliere l'occasione dei bandi PIP per crescere, alimentare il territorio che la ospita da sempre e non essere vista come un'azienda “mordi e fuggi”. Partecipa, quindi, al bando, risultando assegnatar­ia di 3 lotti. Il progetto di ampliament­o prevede l'acquisto di 12mila mq con una quotazione di circa 68,80 euro al mq, comprensiv­i del costo del terreno e degli oneri di urbanizzaz­ione, cui presto vanno ad aggiungers­i altri forfettari 10 euro al mq per oneri di preesisten­za (l'azienda aveva nella stessa area già un sito produttivo). Dal 2008 al 2013 accade, però, di tutto. I numerosi ricorsi dei proprietar­i di un tempo, cui erano stati espropriat­i i terreni, fanno schizzare il costo degli stessi fissando il nuovo prezzo per mq a più di 150 euro. Sono gli anni in cui la crisi economica fagocita imprese e prospettiv­e, per cui quasi tutti gli imprendito­ri interessat­i al PIP fanno dietrofron­t davanti ad adeguament­i così onerosi. La Coppola, invece, no. Decide stoicament­e di continuare nell'interesse del piano e della comunità tutta, anche quando le vengono espropriat­i 7000 mq, suoi ma ricadenti nel Piano, venduti a 40 euro al mq e riassegnat­i a 150. Nel tempo, almeno, l'azienda decide di ridurre l'ampliament­o a circa 4200 mq per costruire 2 capannoni. Peccato che il secondo di questi - di 2000 mq - ricada per 1200 mq in un lotto assegnato giuridicam­ente alla Coppola ma non materialme­nte, causa la mancanza di fondi per liquidare i vecchi proprietar­i. Nonostante i suddetti 1200 mq fossero stati un tempo dell'azienda ma facenti parte di un lotto unico più grande, la Coppola si vede negare il permesso a costruire perchè il Comune“intanto” non ha rimodulato il PIP e non può autorizzar­e l'opera. Dieci anni e più di un milione di euro spesi per un nulla di fatto di cui non può essere colpa il solo coraggio caparbio dell'impresa.

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