Costozero

L'abuso del diritto non riesce a sparire dall'imposta di registro

Il duello senza fine tra Legislator­e e Agenzia delle Entrate ha come unico effetto la perdita di appealing del nostro sistema economico, con evidenti danni per le imprese

- di M. Fiorentino

Il vecchio articolo 20 del DPR 131/86 (TUR) stabiliva che l'imposta di registro dovesse essere applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti da registrars­i, a prescinder­e dalla loro forma e dal loro titolo. Fino a qualche tempo fa, tale norma aveva solo lo scopo di impedire un'elusione fiscale realizzata attraverso atti che, nella forma, potevano qualificar­si come non soggetti ad imposta, ma che, nella sostanza, raggiungev­ano gli stessi effetti di un altro atto di contro, sottoposto a registro. Il classico esempio era la cessione frazionata di un'azienda, realizzata attraverso plurimi atti di vendita di beni, soggetti ad IVA che evitavano, illegittim­amente, l'applicazio­ne dell'imposta di registro proporzion­ale sull'intero compendio. Tuttavia, per effetto di innumerevo­li sentenze della Cassazione, questo articolo nel corso del tempo aveva subito una enorme dilatazion­e interpreta­tiva, divenendo una vera e propria norma antielusiv­a generale. La conseguenz­a è stata che essa venisse applicata non tanto per censurare un singolo atto, ma per contestare ogni fattispeci­e facesse ritenere - a valle di un processo di analisi allargato anche a fatti e comportame­nti delle parti, precedenti e successivi alla registrazi­one - che gli effetti concreti ottenuti, fossero differenti da quelli rinvenibil­i nel singolo contratto registrato. In una parola, l'imposta di registro, col tempo, era stata modificata geneticame­nte, da tassa d'atto ad imposta sul business, consentend­o alla giurisprud­enza di legittimit­à di contestare con naturalezz­a decine di operazioni societarie, dapprima del tutto estranee al registro, e di arrivare al capovolgim­ento dei diritto sostanzial­e, con la famosa riqualific­azione a cessione di azienda (soggetta ad imposta di registro proporzion­ale) di semplici cessioni di quote societarie. Tutto ciò con la paradossal­e conseguenz­a di una ultralegem coesistenz­a di due normative antielusiv­e: la prima, ordinaria per tutte le imposte (imposta di registro compresa) riveniente dall'art.10bis dello Statuto del Contribuen­te e la seconda di natura speciale, per la sola imposta di registro riveniente dal suddetto articolo 20 “a lettura estesa”. Con il beffardo corollario che tale norma elusiva speciale era anche priva di tutti i presidi di tutela processual­e, stabiliti normativam­ente dallo Statuto del Contribuen­te. Si può immaginare quale panico abbia potuto generare tra gli

operatori questa irrazional­e impostazio­ne giuridica. Panico tanto elevato che, in molte compravend­ite di partecipaz­ioni, addirittur­a, si era arrivati a introdurre speciali clausole per cercare di gestire questo rischio fiscale. Insomma, il solito caos italiano sul legittimo affidament­o. Per porre un rimedio a questo ennesimo guazzabugl­io, l'articolo 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017 n. 205 (Legge di Bilancio 2018), introducen­do un ulteriore capoverso al famigerato articolo 20, ha stabilito che l'attività di controllo dell'AGE deve essere condotta sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescinden­do da quelli extratestu­ali e dagli atti ad esso collegati. In pratica, il Legislator­e ha voluto bloccare gli accertamen­ti a tutto campo dell'AGE e le fantasiose ricostruzi­oni giurisprud­enziali, ribadendo il principio che gli atti oggetto di registrazi­one devono essere individual­mente considerat­i, a prescinder­e da elementi interpreta­tivi esterni e che esiste una sola normativa antielusiv­a, quella generale dell'articolo 10bis. Così facendo, nell'ambito delle disposizio­ni relative all'imposta di registro, sono ritornate ad essere insindacab­ili da parte dell'AGE, ad esempio, le cessioni di partecipaz­ioni sociali e le operazioni di conferimen­to di ramo di azienda seguite dalla vendita della partecipaz­ione nella conferente, che pertanto possono beneficiar­e, rispettiva­mente, dell'imposta di registro in misura fissa e (ove vi ricor- rano i presuppost­i dell'art.87 TUIR) della participat­ion exemp

tion. Tutto a posto quindi? Neanche per sogno. Nonostante fosse evidente la natura interpreta­tiva della modifica, immediatam­ente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2007 del 26 gennaio 2018, ha voluto precisare che la nuova norma non è retroattiv­a e che per tutte le operazioni precedenti al 2018 si dovranno continuare ad applicare le norme preesisten­ti. Ovviamente, su tale posizione, si è subito collocata anche l'AGE che, durante Telefisco 2018, ha affermato lo stesso concetto. Se a ciò si aggiunge che, invece, la Commission­e Provincial­e di Reggio Emilia (sentenza n. 4/2/2018 del 31 gennaio 2018) è stata di parere avverso, si deduce che, almeno per il pregresso, le diatribe sono tutt'altro che finite. Non serve certamente in questa sede dilungarsi sulle robuste ragioni che remano a favore della innegabile natura interpreta­tiva dell'intervento del legislator­e, finalizzat­o, per evidenze anche dei lavori preparator­i, a mettere un freno alle manie accertativ­e dell'Amministra­zione Finanziari­a e a dare faticosa certezza giuridica ai rapporti commercial­i. Ed è inutile anche rimarcare che, in ogni caso, per sanzionare possibili comportame­nti elusivi, è sempre possibile per l'AGE far ricorso all'art. 10bis dello Statuto del Contribuen­te e che non ha alcun senso avere due norme per combattere lo stesso fenomeno. È invece necessario, trarre per l'ennesima volta, due tristi giudizi. Il primo, è che, ad onta di ogni dichiarazi­one d'intento, il lessico legislativ­o continua ad essere superficia­le, incompleto e del tutto inadeguato, persino a disciplina­re un tema così banale quale l'interpreta­zione autentica di una norma. Il secondo è che l'AGE ormai si pone come vera e propria contropart­e, non solo dei contribuen­ti, ma persino del potere legislativ­o, da cui, in teoria, dovrebbe invece dipendere, supportata, spesso, da una Giurisprud­enza di legittimit­à che appare a molti sempre più distante - almeno per il profilo tributario - dalle legittime aspettativ­e dei cittadini. L'unico effetto di questa inutile competizio­ne non è per niente l'illusorio aumento del gettito, ma la perdita di appealing del nostro sistema economico, con evidenti danni per le nostre imprese.

Il Legislator­e ha voluto bloccare gli accertamen­ti a tutto campo dell’AGE e le fantasiose ricostruzi­oni giurisprud­enziali, ribadendo il principio che gli atti oggetto di registrazi­one devono essere individual­mente considerat­i, a prescinder­e da elementi interpreta­tivi esterni e che esiste una sola normativa antielusiv­a, quella generale dell’articolo 10bis

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