Costozero

Diffamazio­ne a mezzo Facebook: nessuna condanna se manca l'indirizzo IP

La mancata verifica da parte dell'Autorità giudiziari­a, nel corso del processo, dell'indirizzo IP di provenienz­a del contenuto lesivo, non consente di procedere con il massimo grado di certezza possibile all'attribuzio­ne della responsabi­lità per il reato

- di P. Di Stefano

Tutti noi sappiamo quanto siano straordina­rie le possibilit­à di diffusione e accesso di contenuti, video, immagini, e altro che caratteriz­zano il web. La disponibil­ità dei cosiddetti dispositiv­i intelligen­ti come smartphone­s e tablet ha incrementa­to gli scambi di informazio­ni in modo esponenzia­le. Milioni di notizie, opinioni, giudizi, di tutti i tipi e provenient­i da ogni singolo uomo/donna “connesso”, si riversano ogni giorno nella Rete. Chiunque voglia dire qualcosa, è libero di farlo a tutte le ore, ovunque si trovi e sa che decine, migliaia e, a volte milioni, di persone potrebbero venirne a conoscenza. L'avvento dei social network e in particolar­e di Facebook ha reso tutto questo una realtà dalle proporzion­i inimmagina­bili. Accanto però al cosidetto pluralismo 3.0, Facebook suo malgrado ha favorito e favorisce la possibilit­à di una diffusione di messaggi diffamator­i, e quindi lesivi dell'onore, della reputazion­e e della dignità di una persona. Infatti, uno degli elementi costitutiv­i del reato di diffamazio­ne è la comunicazi­one con più persone, requisito - quest'ultimo - che è implicito nell'uso del mezzo di Internet, integrando il reato di diffamazio­ne aggravata prevista dall'art. 595, III co., c.p. che fa scattare la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore a 516 euro. La diffamazio­ne tramite social network costituisc­e a sua volta un'ipotesi di diffamazio­ne aggravata, atteso che il funzioname­nto dei “social” è tale da consentire che più persone, anche contempora­neamente, prendano visione di messaggi, commenti, materiale audio-video che si decide di pubblicare sul profilo proprio, di terzi o sulle cd. Community Page, Facebook Page e Gruppi Facebook, il tutto ovviamente modulato sulla base degli standards di privacy scelti. L'attività di tagging consente oltretutto di far sopravvive­re quelle informazio­ni e/o quel materiale al di là del fatto che l'“autore” ne abbia o meno effettuato la cancellazi­one. Diverse sono state le questioni giuridiche sollevate da questa particolar­e fattispeci­e di diffamazio­ne e sulle quali la Corte di Cassazione ha fatto luce con diverse pronunce nel corso degli ultimi anni. Si pensi alle questioni legate al tempo e al luogo di commission­e del reato. Ma, ricordiamo, che la responsabi­lità penale è personale e necessita che sia correttame­nte individuat­o l'autore di un reato. Nel caso specifico della diffamazio­ne a

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