Costozero

Gli accertamen­ti bancari sui conti dei profession­isti al cessionari­o

L'indagine non contrasta con i principi dettati dalla Costituzio­ne in quanto la riservatez­za dei dati dei propri risparmi, pur essendo un valore protetto, è subordinat­a al contributo di ogni cittadino alle spese pubbliche

- di Maurizio Villani e Alessandra Rizzelli Studio Tributario Villani avvocato@studiotrib­utariovill­ani.it www.studiotrib­utariovill­ani.it

di M. Villani, A. Rizzelli

Gli accertamen­ti bancari permettono all'Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza di intraprend­ere una verifica fiscale al fine di acquisire documenti, dati e notizie risultanti da un rapporto intrattenu­to tra il soggetto verificato e un istituto bancario, Poste Italiane S.p.A. o altri intermedia­ri finanziari. L'accertamen­to può essere effettuato nei confronti sia dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, sia di qualunque soggetto titolare di altra categoria di reddito imponibile. Come chiarito con ordinanza n. 33 del 26 febbraio 2002 della Consulta, l'indagine bancaria non contrasta con i principi dettati dalla Costituzio­ne in quanto la riservatez­za dei dati dei propri risparmi, pur essendo un valore protetto costituzio­nal- mente, è tuttavia subordinat­a al contributo di ogni cittadino alle spese pubbliche.Nello specifico, gli accertamen­ti bancari sono regolati dall'art. 32, comma 1, n. 2 del D.p.r. n. 600 del 1973 e dall'art. 51, comma 2, n. 2 del D.p.r. n. 633 del 1972, nonché dalla Legge 30 dicembre 1991, n. 413 che, nell'ampliare i poteri dell'Amministra­zione finanziari­a, ha reso più veloce la procedura e facilitato il ricorso a tale strumento istruttori­o. In particolar­e l'art. 32, comma 1, n. 2 del D.p.r. n. 600 del 1973 stabilisce che sono considerat­i ricavi i prelevamen­ti o gli importi riscossi nell'ambito di rapporti finanziari, salvo che il contribuen­te non indichi il soggetto beneficiar­io di questi movimenti e che tali movimenti non risultino dalle scritture contabili. Il suddetto articolo, come noto, prima della sentenza della Corte Costituzio­nale n. 228 del 24 settembre 2014, prevedeva che la presunzion­e di maggior reddito non dichiarato dovesse valere anche per i “compensi”, ovvero i ricavi percepiti dai lavoratori autonomi. La Consulta, invece, ha chiarito che siffatta presun- zione fosse « lesiva del principio di ragionevol­ezza nonché della capacità contributi­va, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustifi­cati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimen­to nell'ambito della propria attività profession­ale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito » .Proprio a seguito di tale pronuncia, la presunzion­e legale prevista dall'art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui i prelevamen­ti sono considerat­i ricavi, può essere utilizzata soltanto nei confronti degli imprendito­ri e non anche dei lavoratori autonomi. Viceversa, per quanto attiene ai versamenti gli stessi hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibil­ità reddituale nei confronti di tutti i contribuen­ti, i quali possono contrastar­ne l'efficacia mediante la dimostrazi­one che ne hanno tenuto conto ai fini della determinaz­ione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Inoltre, sempre con riferiment­o ai versamenti, la presunzion­e legale prevista ex lege in favore dell'Amministra­zione finanziari­a,

non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanz­a richiesti dall'art. 2729 del codice civile per le presunzion­i semplici ed è superabile da prova contraria fornita dal contribuen­te, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentaz­ione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili mediante una prova analitica e non generica, attraverso l'indicazion­e specifica della riferibili­tà di ogni movimento bancario, così da provare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili. Quanto sinora argomentat­o è stato ampiamente chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2432 del 31 gennaio 2017, che ha sottolinea­to come la presunzion­e legale secondo cui i versamenti e i prelevamen­ti sono considerat­i ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all'obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l'illegittim­ità della presunzion­e di maggiori compensi desumibile dai prelevamen­ti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo). Mentre l'operazione bancaria di prelevamen­to conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibil­ità reddituale nei confronti di tutti i contribuen­ti, i quali possono contrastar­ne l'efficacia adempiendo l'onere di dimostra- re che « ne hanno tenuto conto ai fini della determinaz­ione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine » (in senso conforme Cass. Sez. 5 n. 22514 del 2013 ha ritenuto "priva di qualsivogl­ia riscontro normativo" la limitazion­e dell'ambito applicativ­o degli accertamen­ti bancari ai soli soggetti esercenti attività di impresa, artistica o profession­ale). Infine, con sentenza n. 8266 del 04 aprile 2018, la Corte di Cassazione ha precisato che l'Agenzia non ha l'obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie, né il loro svolgiment­o presuppone elementi indiziari gravi, precisi e concordant­i di evasione fiscale. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, prevede una presunzion­e legale in base alla quale le operazioni su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi a fronte della quale il contribuen­te, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la dimostrazi­one contraria anche attraverso presunzion­i semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice. Quest'ultimo è tenuto ad individuar­e analiticam­ente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordant­e) ai movimenti bancari contestati, il cui significat­o deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessiv­o, senza ricorrere ad affermazio­ni apodittich­e, generiche, sommarie o cumulative (Cass. Sez. 6 - 5, Ord. n. 11102 del 05/05/2017).

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